Migranti, comandante contattato da Ong: “Volevano pagarmi su un conto alle Seychelles”

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di Caterina Spinelliwww.liberoquotidiano.it –  «Dietro alle ong c’è un mondo pazzesco». A dirlo è un comandante italiano di stanza a Palma di Maiorca che il mare e i suoi frequentatori li conosce bene. Lui è L. M. e ci racconta una storia altrettanto pazzesca, a tratti inquietante. Una storia che ci permette di capire meglio alcune dinamiche legate al mondo dell’accoglienza e dei soccorsi in mare. La testimonianza di L.M. ci riporta all’agosto 2018, quando Matteo Salvini negò lo sbarco della Diciotti al porto di Catania. Proprio in quei giorni, con l’allora ministro dell’Interno che rischiava il processo (poi negato dall’aula del Senato), stava accadendo qualcosa di strano. Se infatti il leader della Lega veniva tacciato delle più gravi accuse – sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio – nessuno indagava su quanto avvenisse in mare, dentro alle imbarcazioni che recuperano migranti al largo, là dove nessuno, o quasi, può vedere che succede.

«Dopo quattro o cinque giorni dal no allo sbarco della Diciotti, mi ha contattato un amico, il primo ufficiale di una ong nota per fare rescue, salvataggio in mare». Il nome dell’organizzazione L.M preferisce non renderlo pubblico, ma assicura essere una tra le più attive. «Lui mi disse di essere stato contattato dalla Alan Kurdi perché cercavano un comandante italiano con titolazioni italiane da imbarcare per fare rescue. Inizialmente – racconta a Libero – non sapevo di che barca parlassero, poi mi dissero che era quella arrivata a Palma di Maiorca, si trattava della Alan Kurdi. Ho ascoltato le loro richieste. Avrei proposto qualche conoscente o sarei andato io in prima persona. Per me era un lavoro, lo consideravo tale». E per la ong sembra essere lo stesso, altro che missioni umanitarie: «Chiedevano un comandante con titolo italiano, come me, a cui l’Italia non poteva negare lo sbarco. Per carità, un porto avrebbe potuto trovare la scusa che non aveva posto, l’altro che non era attrezzato, ma un porto italiano prima o poi sarebbe stato obbligato ad accordarmi lo sbarco, anche solo temporaneo».

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LA CONVENZIONE

La ragione è da ricercare nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, secondo la quale la nave che batte bandiera di uno Stato è considerata a tutti gli effetti territorio dello stato di bandiera. Ciò comporta la soggezione della nave e dell’equipaggio a bordo alla sovranità dello stato di bandiera. Sulla base di questi presupposti è facile comprendere la richiesta della Alan Kurdi. Poi, però, a stranezza si aggiungono altre stranezze. Ben più sospette: «Qualcosa non mi tornava. Oltre all’abilitazione italiana serviva un conto corrente alle Seychelles». Proprio così. «Il conto serviva per il pagamento. Una parte mi sarebbe stata pagata sul conto della mia banca, a Palma, un’altra alle Seychelles». E se come la maggior parte dei comuni mortali L.M. un conto alle Seychelles non lo ha, nessun problema: l’organizzazione provvede anche a questo: «Se non lo apri da solo, ti danno il contatto di qualcuno che ti può aiutare con la pratica».

Insomma, più che stranezza una furbata off-shore. Fino all’ottobre 2021, infatti, l’arcipelago dell’oceano Indiano era nella lista nera Ue per quel che riguarda trasparenza e cooperazione fiscale. E i fatti di cui vi diamo conto risalgono al 2018. Ma non finisce qua. Il lavoro, come spiega il comandante, è tutt’ altro che malpagato: «In sostanza dichiaravano i 5mila euro che davano all’equipaggio a bordo, ossia 9 persone. Il resto lo pagavano alle Seychelles». E il resto sono «10mila-10.500 euro».

Ma ancora una volta non è finita: non mancano gli extra, una sorta di incentivo ad arrotondare il compenso. «Per ogni giorno in più che i migranti trascorrevano a bordo c’era un ulteriore rimborso spese». Il motivo è chiaro e piuttosto sconvolgente: «La barca non è abilitata a fare rescue. Molte delle navi utilizzate dalle ong non sono abilitate al salvataggio». Il paragone è chiarissimo: «Sostanzialmente sono mezzi da piattaforme petrolifere, come se hai un furgoncino che ha dietro un pianale e lo fai diventare un pullman da trasporto. Quelle imbarcazioni non sono fatte per avere delle persone che a bordo si muovono, sono delle supply vessel e sono strutturate per avere carico fermo o carico liquido, come petrolio e acqua». E per questo in via teorica devono caricare le persone, rimanere ferme «in watch» e aspettare che arrivi la capitaneria. Tutto quello però che non fanno.

MAXISTIPENDIO

L.M, attuale “master” di uno yacht, di traversate ne ha fatte parecchie e sull’operato delle ong ha un’idea netta, per nulla sfumata: «È una presa in giro totale». Non a caso – prosegue – ti danno «uno stipendio doppio o triplo rispetto a quanto pagano altrove. Anche perché il rischio è che la tua patente venga segnalata e non ti imbarchino da altre parti, l’assicurazione non ti copre e loro lo sanno». E se ci si chiede come arrivino alle ong le segnalazioni dei barchini alla deriva, L.M. risponde con un esempio pratico: «Io ti dico per certo come funziona in Spagna, dato che ho conosciuto un algerino…». Un incontro avvenuto in mezzo al mare. «Ci siamo fermati per dargli dell’acqua e poi lui ha continuato a remi verso terra. È un signore che vive a Ibiza e ha contatti con l’Algeria”. E ne approfitta.

«Lui avvisa le imbarcazioni delle Ong per dire dove arriveranno i migranti». Bastano pochi calcoli e il gioco è fatto: «Questo signore abita davanti al porto, pulisce i pescherecci e sa esattamente quando la guardia costiera è in porto, per esempio a fare rifornimento. È lui, è quell’algerino, la loro base in Europa». Così quando le vedette sono alla banchina, le ong prendono il largo. Insomma, le organizzazioni non si trovano mai in mare per caso: «Devono per forza sapere prima dove andare, è una questione di velocità. La Alan Kurdi vanta una velocità massima di 18 nodi di navigazione, quindi dovrebbe partire due ore prima di una barca militare». Se l’algerino passi quelle informazioni per pura solidarietà o altro, però, non è dato saperlo.

Non tutti lucrano sui salvataggi: «C’è un gruppo, noi li chiamiamo “gli invasati”, che sono volontari veri, fanno tutto questo per salvare vite. Loro hanno il salame sugli occhi, non vedono quello che accade realmente». Perché secondo L.M., in verità, la maggior parte di quelli che trovi sulle ong sono ragazzi «che vogliono fare carriera in maniera più veloce e questo è il modo più rapido per fare miglia nautiche e farci anche qualche soldo».

A questi insomma degli immigrati non frega nulla: «Si trovano in mare su una nave che fa tantissime miglia durante la navigazione: stanno lì 4 o 5 mesi e poi possono andare al comando di una barca più piccola o possono diventare primi ufficiali su un’altra barca». Il ragionamento è agghiacciante: «Invece di andare a scuola, tu entri lì sopra, è il modo più veloce per fare carriera». O soldi, dipende dagli interessi.