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di Carlo Nicolato – Per celebrare la chiusura dell'”Anno europeo della gioventù”, del quale peraltro in 11 mesi ben pochi si erano accorti, il Comitato economico e sociale europeo sta diffondendo sui social alcuni video di ringraziamento nei quale spuntano qua e là i soliti messaggi totem progressisti ad alta correttezza politica. #Thankyou cita l’hashtag a lettere capitali su un’innocente immagine della Tour Eiffel, che però è solo lo sfondo di una manifestazione in cui campeggia, più sotto, la grande scritta di “extinction rebellion”; poi grandi sorrisi, bandiere arcobaleno, il gay pride, coppie omosessuali, ovviamente, “standing up for your beliefs”.
Insomma le solite cose, niente di nuovo, niente di cui preoccuparsi ovviamente, se non di coprire bene le opere d’arte che gli ambientalisti di quel gruppo hanno lo stupido il vezzo di imbrattare. Nella foga di apparire il più possibile politically correct, tra gente di tutti i colori e di tutti i sessi spuntano però qua e là (almeno 6 volte) ragazze con il velo, un simbolo religioso ben definito e non del tutto innocente. Avessero almeno filmato un ebreo con la kippah, un sikh col turbante e un cristiano che accende un cero in chiesa avremmo forse potuto chiudere un occhio, questione di rispetto delle religioni, di tutte le religioni. Ma ripensandoci bene non lo avremmo chiuso neanche in quel caso, perché proprio in questi giorni in Iran migliaia di ragazze stanno scendendo in piazza per protestare contro quell’imposizione umiliante che da più di due mesi non è solo odiosamente tale, ma è diventata anche simbolo di morte e violenza.
Da quando cioè Masha Amini, 22 anni, è stata picchiata e uccisa dalla polizia morale islamica in quanto non portava il maledetto hijab in modo corretto. Come lei, dopo di lei, sono morte Asra, Nika, Nasrin, Sarina e altre ancora, a migliaia sono state arrestate, compreso i ragazzi che a loro si sono uniti e che ora in qualche caso rischiano perfino la pena capitale. No, il velo non è simbolo della diversità che piace tanto all’Europa di Bruxelles, ma lo scettro di una religione che schiaccia i diritti delle donne e le annienta. Lungi dall’essere inclusivi «questi video assumono in realtà un pregiudizio politico assolutamente inaccettabile» ha denunciato in una lettera indirizzata alla presidente del Comitato, Christa Schweng, l’eurodeputato di Les Républicains e professore di filosofia François-Xavier Bellamy, dei quali ne chiede l’immediata rimozione per «porre fine a una deriva colpevole».
Bellamy fa notare peraltro che il Parlamento europeo aveva votato «un emendamento alla Commissione europea» per «non finanziare mai più una campagna per promuovere l’hijab» e che tali clip sono stati evidentemente pagati con i soldi dei contribuenti europei. Ma ovviamente non è solo una questione di denaro, è una questione di giustizia, di diritti umani, di rispetto per le donne. E di libertà di scelta, la stessa che per assurdo viene simbolicamente sventolata con le bandiere arcobaleno nei suddetti video. Qualcuno faccia sapere agli editori di quei capolavori che in quei Paesi islamici dove viene imposto il velo alle donne, i membri della comunità Lgbt non fanno una bella fine.
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