Mondiali Qatar, Infantino (Fifa): oggi mi sento arabo, migrante e gay

Infantino

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Una conferenza stampa tutta all’attacco. Ha parlato per un’ora il presidente della Fifa, Gianni Infantino, alla vigilia della partenza dei mondiali. Sessanta minuti per rispondere alle numerose critiche di questi anni, e in particolare dell’ultimo periodo, per i mondiali in Qatar, in particolare per le violazioni dei diritti umani.
Si è capito subito che non sarebbe stata una conferenza stampa di routine.

“Oggi mi sento qatarino – ha detto Infantino -. Oggi mi sento arabo. Oggi mi sento africano. Oggi mi sento gay. Oggi mi sento un lavoratore migrante. Io sono figlio di un lavoratore migrante. I miei genitori hanno lavorato molto duramente, e in condizioni molto difficili. In Svizzera.
E io lo ricordo molto bene. Ricordo le condizioni di lavoro dei migranti in Svizzera. Ho i ricordi di un ragazzo di come venivano trattati i lavoratori migranti.
Quando sono stato eletto presidente della Fifa, sono venuto qui in Qatar a vedere come venivano trattati i lavoratori migranti.
Ovviamente io non sono qatarino, non sono arabo, africano, gay, lavoratore migrante. Ma so cosa vuol dire essere discriminato. Io sono stato bullizzato”.

Infantino si toglie molto più di qualche sassolino:
“In questi anni abbiamo assistito, da molte parti, a lezioni di morale. Di doppia morale. Da parte di europei, di cittadini occidentali. Eppure sono gli europei che dovrebbero scusarsi per quello che hanno fatto nel mondo negli ultimi 300 anni.
Allora dobbiamo chiederci dove stiamo andando? Il Qatar ha dato opportunità di lavoro a migliaia di lavoratori. Noi nel mondo occidentale, invece, chiudiamo i confini. Noi non permettiamo l’ingresso nei nostri Paesi in maniera legale. E spesso i migranti vivono in condizioni che non sono certo le migliori.
Per questo molti migranti sono costretti a cercare strade non legali per arrivare in Europa. E solo pochi sopravvivono. Così come sono pochi quelli che davvero si occupano dei destini di queste persone, e in particolare di quello dei bambini. Il Qatar dà loro un futuro.
Queste lezioni morali fatte con uno sguardo unilaterale è ipocrisia. Ipocrisia è quando tu pensi di dare lezioni morali a qualcun altro ma non fai abbastanza”.

“Bisogna capire che le pressioni sono negative. Le relazioni sono positive. Noi non reagiamo alle pressioni. Noi agiamo quando riteniamo che sia il momento di agire.
Ad esempio, voi pensate che noi possiamo andare in Inghilterra e in Italia a dire che devono compensare i lavoratori migranti?
Qui in Qatar ci sono compensazioni legali, perché i lavoratori sono legali. In caso di incidenti, ogni lavoratore ha diritto a una compensazione. Ma non perché qualcuno dice al Qatar cosa fare. Ma perché la compensazione è dovuta per legge”.
Dopo l’attacco, il presidente della Fifa prova a passare alla parte propositiva, per dimostrare che l’organizzazione del mondiale del calcio ha dato un contributo al miglioramento delle condizioni in Qatar: “Posso annunciare che su questo tema sono attive 3 iniziative. Prima di tutto c’è un Ufficio Permanente per occuparsi dei lavoratori dei migranti. Secondo – lo ribadisco – le compensazioni per i lavoratori migranti esistono.
E poi abbiamo deciso come Fifa di istituire un Fondo. L’ammontare sarà una percentuale degli incassi derivanti dai Mondiali. E utilizzeremo questo fondo prima di tutto per progetti di istruzione. E in particolare per l’istruzione delle ragazze e delle donne.
Inoltre da tempo stiamo discutendo con l’Organizzazione internazionale del Lavoro. Stiamo lavorando a un memorandum per condividere le migliori pratiche per i lavoratori migranti. E per rendere la loro vita migliore”.

Una delle principali critiche per la scelta del Qatar riguarda le restrizioni per la comunità Lgbtq+.
“Ho parlato di questo tema più volte con le autorità del Qatar. E qui ognuno è benvenuto. Certo, puoi preferire stare a casa a criticare perché qui non è permesso vivere in pubblico la propria omosessualità. Ma è un processo. Che richiede anni.
Se io avessi chiesto a mio padre, probabilmente avrebbe avuto una opinione diversa dalla mia. Così come sicuramente mio figlio ha una opinione diversa dalla mia.
Proviamo a convincere gli altri costruendo relazioni, aiutando, non dividendo, ma piuttosto unendo”.

Non ha tralasciato poi i temi di più stretti attualità, come quella dei “tifosi finti”: ovvero persone pagate dal regime del Qatar per fronteggiare un calo del numero delle presenze come conseguenza del boicottaggio.
“Pensare che un indiano, un asiatico, non possano tifare per un’altra squadra è razzismo – ha risposto Infantino -. Ognuno nel mondo ha il diritto di tifare per chi vuole”.
E allora Infantino lancia un appello: “Dobbiamo aiutare a creare un clima non di aggressione, ma di comprensione”.  https://www.rainews.it