Tragedia a Catanzaro, 3 fratelli morti nel rogo: come e perchè

Tragedia a Catanzaro

di Claudio Cordovahttps://notizie.tiscali.it – Degrado urbano che si trasforma in degrado sociale, con agglomerati residenziali non rifiniti, casermoni dove spesso manca acqua ed elettricità. E poi strade e vicoli incontrollati, dove si spaccia droga alla luce del sole. Degrado che si trasforma in inferno. La zona sud di Catanzaro, dove tre giovani fratelli sono morti nel rogo del loro appartamento in Via Caduti 16 marzo 1978. Saverio, Aldo Pio e Mattia Carlo Corasoniti i ragazzi morti. Saverio, 22 anni, era autistico. Aldo Pio e Mattia Carlo avevano rispettivamente 15 e 12 anni.

L’inferno nella notte

Sono agghiaccianti le testimonianze che arrivano su quanto accaduto nella notte nel capoluogo di regione della Calabria. I membri della famiglia Corasoniti avrebbero chiesto aiuto dal balcone dell’appartamento avvolto dalle fiamme in pochissimo tempo, nonostante l’arrivo tempestivo dei soccorsi. Due delle vittime sono state trovate nella stanza che porta al balcone, un’altra nel bagno dell’appartamento. L’intossicazione da fumo, secondo una prima ipotesi investigativa, potrebbe aver fatto loro perdere i sensi impedendone la fuga.

La politica, tutta, sta esprimendo il proprio cordoglio. Il presidente della Giunta Regionale, Roberto Occhiuto, ha scritto sui social: “Tutta la Calabria si stringe a questa famiglia distrutta e alla comunità catanzarese in questo momento di grande dolore. Una preghiera per chi non c’è più”. Particolarmente scosso Nicola Fiorita, sindaco da pochi mesi del capoluogo, che ha subito proclamato il lutto cittadino: “Ho provato un brivido e un moto di indignazione per le condizioni dei nostri quartieri della zona sud”.

Il Bronx di Catanzaro

Per gli abitanti del capoluogo di regione calabrese, quell’area, che comprende i quartieri Aranceto, Pistoia e Corvo è infatti da sempre, considerata un luogo dove lo Stato fa fatica a entrare. E non solo sotto il profilo repressivo. Quella, infatti, è da sempre una roccaforte della criminalità, organizzata e non. Con la strada principale, viale Isonzo, emblema di un territorio franco, che la politica di tutti i colori alternatasi alla guida della città non ha saputo riportare nell’alveo della legalità e della civiltà.

Il territorio incontrollato che serve a tutti

Spaccio di droga, anche in pieno giorno e anche con l’utilizzo di minori e rinvenimenti, quasi quotidiani, di armi e di bunker utilizzati dalla ‘ndrangheta, ma non solo. La ‘ndrangheta, infatti, tollera e sfrutta l’esistenza di quel territorio incontrollato, che funziona da centrale dello smercio della droga nella città. Non solo. Anche il racket delle estorsioni, come testimoniato da diverse inchieste della magistratura. Il cosiddetto “pizzo” agli esercenti, ma anche il giro di furti d’auto con la tecnica del cosiddetto “cavallo di ritorno”, il pagamento di denaro per riavere indietro il proprio mezzo.

Un’area invivibile, con gli abitanti che si sentono abbandonati anche sotto il profilo sociale, senza l’esistenza dei più banali servizi e senza prospettive per il futuro. Negli anni, infatti, la popolazione rom, allocata fino a metà anni ’80 in diverse baraccopoli, è finita in alloggi popolari, spesso occupati abusivamente, a scapito delle famiglie più indigenti della città. Gli appartamenti realizzati dall’Aterp, l’ente che gestisce le case popolari, vengono spesso vandalizzati oppure occupati abusivamente.

La storia della famiglia Corasoniti

Anche la famiglia Corasoniti avrebbe subito questo tipo di angherie. Un nucleo familiare composto da sette persone. Il padre Vitaliano, venditore ambulante di vestiti, la madre Rita Mazzei, casalinga. E poi i figli Saverio, 22 anni, il maggiore dei ragazzi, affetto da autismo, Aldo Pio e Mattia Carlo, di 15 e 12 anni – tutti morti nell’incendio. Ricoverati in gravi condizioni, insieme ai genitori, altri due figli, Antonello, 16 anni, e Zaira Mara, 12 anni.

Una famiglia con difficoltà enormi, che si ritrovò la casa occupata abusivamente al rientro da una giornata di mare. Dopo settimane di minacce e furti, infatti, nel 2016 furono costretti ad abbandonare l’alloggio popolare dove vivevano, non molto distante dal luogo dove si è consumata la tragedia nella notte. Succede così in quelle aree di Catanzaro: lasciare casa, anche per poche ore, può significare perderla per sempre.

La testimonianza del sociologo

“Era l’agosto del 2016 ed ero Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza della Regione Calabria da appena tre mesi. Venni informato che una famiglia, tornando dal mare, aveva trovato la propria casa distrutta. Precedentemente aveva subito furti e minacce. Mobilitai le Forze dell’Ordine, le istituzioni comunali competenti e scattò una gara di solidarietà anche da parte di associazioni cittadine. La famiglia fu costretta a lasciare quella casa”. Questo il racconto del sociologo Antonio Marziale, che proprio stamattina è stato riconfermato Garante per l’infanzia e l’adolescenza della Regione Calabria dal presidente del Consiglio regionale, Filippo Mancuso

E già serpeggia il sospetto che quanto accaduto potesse essere evitato, che ci si trova di fronte all’ennesima tragedia annunciata: “Si tratta di una famiglia in cui il disagio era palpabilissimo, aggravato dal peso di un figlio gravemente malato in un territorio privo di strutture assistenziali preposte a quel tipo di cure” aggiunge Marziale.

L’indagine della Procura

Nulla, però, è ancora certo sull’accaduto. La Procura della Repubblica di Catanzaro, retta da Nicola Gratteri, ha infatti aperto un fascicolo sull’accaduto. L’ipotesi di reato è al momento quella di omicidio e disastro colposo. Ma la situazione è per ora difficile da decifrare dopo i primi sopralluoghi dei vigili del fuoco. L’unica causa che, al momento, sembra esclusa è quella fuga di gas.

Toccherà al Nucleo investigativo antincendio (Nia) fornire dettagli importanti agli inquirenti. L’intero appartamento, infatti, è ormai cenere e i primi sommari rilievi non hanno consentito di avere indicazioni attendibili sull’origine e le cause del rogo.