di Fausto Biloslavo – www.ilgiornale.it – Italia tagliata fuori dal forziere energetico libico da scoprire e non solo. Libia e Turchia hanno firmato un patto d’acciaio per l’esplorazione di nuovi giacimenti di gas e petrolio sulla terraferma e soprattutto nella zona economica esclusiva off shore, che si estende a dismisura fino a sud dell’isola di Creta. Il testo è ancora secretato, ma secondo indiscrezioni raccolte dal Giornale la durata sarebbe di 50 anni. Un pugno nello stomaco al nostro Paese, storicamente legato alle ricchezze energetiche della Libia, in questo momento di grave difficoltà sul gas per la guerra in Ucraina. E ancor più a Grecia, Egitto e Cipro, che contestano con forza la delimitazione dell’area di esplorazione sul mare. Anche l’Unione europea ha battuto un colpo contro l’accordo.
«L’Italia è rimasta con un pugno di mosche in mano grazie all’inazione del governo Conte 2 e dell’esecutivo Draghi – rivela una delle nostre antenne a Tripoli – Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha preso in mano il dossier libico, tarpando le ali anche alla Difesa, senza combinare nulla». A Misurata abbiamo chiuso l’ospedale militar, lasciando un manipolo di una trentina di soldati assieme ad altri venti a Tripoli. Presenza fittizia rispetto allo strapotere militare turco che appoggia il governo di Tripoli, seppure decaduto dallo scorso dicembre. E proprio il memorandum non solo militare, che ha salvato la capitale nel 2019 dall’assedio del generale Khalifa Haftar con l’intervento delle truppe del sultano, è la base dell’accordo che ci taglia fuori.
Lunedì è sbarcata a Tripoli una mega delegazione turca con i ministri degli Esteri, Difesa, Energia e Commercio, rispettivamente Mevlut Cavusoglu, Hulusi Akar, Fatih Donmez e Mehmet Mus. E non potevano mancare il capo dell’intelligence e dello stato maggiore di Ankara. Il governo (scaduto) del premier Abdulhamid Dabaiba ha firmato l’intesa, garantendosi la poltrona grazie alle baionette turche. L’accordo spazia dall’esplorazione di nuovi giacimenti a terra e nella Zona economica esclusiva della Libia, alla realizzazione di impianti di raffinazione fino al trasporto in Turchia e mercati terzi. In pratica andrà a finire che Ankara venderà all’Italia il gas libico, che Gheddafi ci aveva affidato per 40 anni prima che lo bombardassimo assieme alla Nato. L’intesa prevede l’impiego di navi di ricerca e perforazione, ma pure lo sviluppo e funzionamento di oleodotti e gasdotti esistenti o aggiuntivi in Libia.
Il colpo gobbo dei turchi ha scatenato la reazione dell’altro premier libico, del governo rivale di Stabilità nazionale. Fathi Bashagha ha annunciato «consultazioni dirette con i partner nazionali, regionali e internazionali, per rispondere adeguatamente a questi abusi che minacciano la sicurezza e la pace in Libia e nell’intera regione». Ennesimo annuncio di guerra, sottolineato dal fatto che il governo di Tripoli «non ha la legittimità per concludere accordi internazionali o memorandum d’intesa» secondo i ministri degli esteri di Grecia ed Egitto.
«Non è la prima volta che la Turchia sembra ignorare il contesto internazionale», ha dichiarato il portavoce del governo greco Yannis Economu. Anche la Ue ha ricordato che fin dal 2019 «il memorandum d’intesa Turchia-Libia viola i diritti sovrani di Stati terzi, non rispetta il diritto del mare e non può produrre conseguenze legali per Stati terzi». L’Italia al momento tace, ma sul terreno si prevede che l’accordo «alimenterà conflitto e instabilità in Libia per anni».