Enrico Letta prima di tornare in Italia per guidare il Partito democratico, lavorava per società del lusso legate a Pechino con sedi a Londra e in Delaware. “Non ci devono essere paradisi fiscali nella Zona euro, soprattutto dopo la Brexit”, continua a ripetere il segretario dem. Al quale evidentemente, riporta il Giornale, “bastano quelli a Londra, in Delaware e New Jersey, sedi delle società dei suoi ex soci cinesi con cui era in affari fino a quando si è dimesso. Stati che sottraggono al nostro Paese il 42% degli investimenti diretti esteri globali per 6,4 miliardi annui di mancato gettito“.
Tra queste c’è la “Liberty Zeta Limited, società di diritto britannico con sede in Regent’ s Street a Londra e holding internazionale del luxury che opera in Gran Bretagna, Giappone, Cina, Brasile, Spagna, Stati Uniti e naturalmente in Italia. Letta ne è stato tra gli amministratori da maggio 2016 a marzo 2021. Nel 2020 la società ha chiuso l’esercizio con una perdita di 12 milioni a fronte di un reddito operativo 2019 di 19 milioni circa”. Tutta colpa del Covid, secondo gli esperti del centro studi Fiscal Focus di Antonio Gigliotti che hanno studiato i bilanci di Liberty ZL, “e dell’aumento dei costi amministrativi, con alcuni amministratori (non sappiamo chi…) pagati da alcune controllate”.
Poi c’è “la Glendower Capital LLP, gestore indipendente con circa 9 miliardi di dollari nata nel 2017 per iniziativa dell’italiano Carlo Pirzio Biroli, che ne gestisce i ricavi e che ha tra i suoi soci il cinese Cheung Chi Chung, manager socio della Liberty, la CVC Green Holdings Limited con sede nel New Jersey (noto paradiso fiscale) e altre due società ora non più attive con sede in Delaware, altro paradiso fiscale dove secondo il Guardian è più facile nascondere i soldi rispetto a Panama”.
Infine, c’è il legame speciale tra Letta e la Cina: “l’8 agosto 2019 la cinese Tojoy guidata da Lu Junqing lo ha nominato co-presidente di Tojoy Western Europe, satellite della Tojoy Sharing group, azienda legata al presidente cinese Xi Jinping, il cui obiettivo è allacciare rapporti con le imprese europee per convogliarle nella Via della Seta, strada tracciata dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Che per i documenti della diplomazia Usa pubblicati dal Giornale è uno dei cavalli di Troia di Pechino. E che Letta ha blindato con un seggio sicuro”, si legge nell’articolo. www.liberoquotidiano.it