Sembrava una vittoria del governo di Parigi e della legge francese e invece l’espulsione dell’imam radicale Hassan Iquioussen sta diventando un caso ogni ora più spinoso.
Una vicenda imbarazzante per l’esecutivo, che si è lasciato tranquillamente sfuggire – probabilmente in Belgio – il religioso accusato di prediche radicali ed espulso dopo un braccio di ferro durato mesi. Ma anche per lo Stato, che ora si trova di fronte a una reazione stizzita del Marocco che definisce “unilaterale” la decisione di espellere l’imam, da anni protagonista di discorsi a sfondo antisemita e misogino.
Iquioussen, 58 anni, è da lungo tempo nel mirino della giustizia perché, oltre ad essere vicino ai Fratelli Musulmani, è stato per anni il braccio destro di Tariq Ramadan e – con un discorso amplificato da YouTube – ha creato, secondo il ministro dell’Interno Gérald Darmanin che per primo ne ha chiesto l’espulsione, “un’atmosfera favorevole al jihadismo”.
Nel mirino dell’imam, che ha 5 figli e 15 nipoti tutti francesi ed è lui stesso nato in Francia pur avendo conservato sempre la cittadinanza marocchina del padre emigrato, sono finiti sempre più spesso gli ebrei, Israele (ripetute le denunce a suo carico per aver paragonato lo Stato ebraico e i sionisti al nazismo) e le donne, che proclama di ritenere inferiori agli uomini.
La sua espulsione chiesta da Darmanin era stata bloccata dal Tribunale amministrativo di Parigi, poi convalidata due giorni fa dal Consiglio di Stato. Sembrava la fine di un percorso con il quale la Francia ribadiva la priorità dei suoi valori di laicità su quelli del fanatismo religioso, ma quando la polizia si è recata a casa sua a Lourches, vicino a Valenciennes (nord della Francia), lui si era già dileguato. Fuggito forse da giorni, probabilmente in Belgio secondo il prefetto della regione.
In Francia si sono levate subito proteste e ironie perché l’imam non era sotto sorveglianza nonostante il ministro Darmanin avesse detto – annunciandone l’espulsione – che è schedato come a rischio radicalizzazione da ben 18 mesi.
Infine, la complicazione diplomatica con Rabat, arrivata come una doccia fredda oggi pomeriggio: il 1° agosto il Marocco aveva rilasciato un “lasciapassare consolare”, documento che avrebbe consentito l’espulsione appena decretata dal ministro. Ma oggi quel lasciapassare sarebbe stato “sospeso”, anche se il ministero dell’Interno francese sostiene che i lasciapassare consolari hanno una validità di 60 giorni. La decisione si spiegherebbe, secondo fonti marocchine, con il carattere “unilaterale” del provvedimento di espulsione sancito dal Consiglio di Stato francese.
Uno dei figli del predicatore ha detto di non sapere dove si trovi il padre. Il prefetto, assediato dalle domande, si è difeso affermando che l’imam “poteva essere in diversi luoghi” e che “la sorveglianza del suo domicilio era proporzionata ai poteri investigativi della polizia”.