di Dario Martini per www.iltempo.it – Con il nuovo balzo dell’inflazione, che ha raggiunto l’8%, si fa sempre più pressante l’esigenza di adeguare l’importo degli stipendi. Il divario tra le nostre buste paga e quelle degli altri paesi europei è larghissimo. Non solo. Rispetto a trent’anni fa l’Italia è l’unico membro dell’Ocse in cui i salari sono diminuiti. In tutti gli altri sono aumentati. È impressionante vedere come tra il 1990 e il 2020 lo stipendio medio sia calato tanto da arrivare al -2,90%.
Al secondo posto di questa speciale classifica in negativo troviamo la Spagna, che comunque si consola con un +6,20%. Molto in meglio nelle altre grandi economie. La Francia ha registrato un +31,10%, la Germania un +33,70. Non c’è da stupirsi che l’incremento maggiore si sia verificato nei paesi dell’est che prima facevano parte del blocco sovietico. L’ingresso nell’economia di mercato occidentale spiega il +200% della Lettonia, il +237 dell’Estonia e il +276 della Lituania. Ad essere impietoso è il confronto con le principali economia dell’Eurozona.
Una recente analisi della Fondazione Di Vittorio condotta sugli ultimi dati Eurostat disponibili evidenzia il netto divario che c’è tra l’Italia da una parte e il resto dell’Europa dall’altra. La ricerca prende in esame il salario lordo annuale medio per un lavoratore dipendente nelle quattro principali economie europee. In Italia nel 2019 era pari a 29.623 euro. Nel 2020, complice il Covid, era sceso a 27.868, per poi risalire a 29.440 nel 2021 senza però riuscire a raggiungere il livello pre-pandemico. In Spagna è più basso: 27.587 euro nel 2019, 27.404 l’anno scorso. Mentre in Francia è molto più alto: nel 2019 era pari 39.385 euro e lo scorso anno è addirittura salito a 40.170. Stessa cosa in Germania: 43.485 tre anni fa, 44.468 nel 2021.
Da notare che il salario medio nell’Eurozona, con 37.382 euro, è ben al di sopra di quello italiano. Al momento il governo non ha ritenuto opportuno intervenire sulle buste paga degli italiani. Nonostante l’inflazione galoppante, si è limitato ad intervenire sui prezzi dell’energia con i bonus bollette per le fasce della popolazione meno abbienti e con il taglio delle accise su benzina e gasolio. I sindacati e Confindustria, invece, chiedono una misura più impattante: il taglio del cuneo fiscale, ovvero il rapporto tra le tasse pagate dal lavoratore e il costo totale del dipendente per il datore di lavoro.