Julian Assange è stato sottoposto a una sorta di perquisizione punitiva e trasferito in una cella di rigore nei giorni scorsi, in coincidenza con l’annuncio della firma da parte di Priti Patel, ministra dell’Interno del governo britannico di Boris Johnson, del decreto che ne autorizza la contestatissima estradizione negli Usa. Estradizione già approvata dalle corti del Regno Unito malgrado le proteste di attivisti dei diritti umani, associazioni per la tutela della libertà d’informazione e organismi dell’Onu che rischia di esporlo alla prospettiva d’essere condannato fino a 175 anni di carcere per aver contribuito a rendere pubblici a suo tempo documenti riservati imbarazzanti per molti governi, attraverso la piattaforma di WikiLeaks: inclusi file relativi a crimini di guerra americani in Afghanistan o Iraq.
A denunciarlo è stata nelle scorse ore la moglie del 51enne editore e giornalista australiano, l’avvocato sudafricana Stella Morris. Secondo Morris, gli addetti della prigione di massima sicurezza di Belmarsh (in cui Assange è detenuto da oltre tre anni, pur non avendo più alcuna pendenza con la giustizia britannica) hanno sostenuto di dover procedere così “per la sua protezione”. Ma in realtà, stando ai sostenitori, gli hanno inflitto “semplicemente un ulteriore “castigo extra giudiziale”, commettendo un abuso “inaccettabile e sicuramente illegale”.
Raddoppiare gli sforzi per liberare Julian Assange
Stella Morris ha aggiunto che nel weekend successivo all’annuncio di Patel al fondatore di WikiLeaks è stata preclusa qualunque visita, malgrado egli abbia ancora diritto a chiedere l’avvio di un ultimo iter d’appello (entro 14 giorni), prima dell’ipotetica consegna all’alleato d’oltre oceano. Questi fatti – ha commentato John Rees, animatore della campagna ‘Assange Libero’ – “mostrano come le autorità reagiscano in modo vendicativo alle pressioni. E come noi dobbiamo raddoppiare gli sforzi per fermare l’estradizione, per il bene di Julian Assange e in nome della difesa della libera stampa”. (ANSA).