di Tommaso Minniti – Le volte che è stata colpita a morte l’Italia in questi 75 anni di Repubblica non si contano; pensiamo a Piazza Fontana, a Ustica e Bologna, a Falcone e Borsellino, a Mani pulite, all’Euro. Per approssimazione consideriamo due date decisive:
9 maggio 1978, delitto Moro
1 marzo 2020, delitto Italia
Oggi la Repubblica democratica fondata sul lavoro ex articoli 1, 2, 3, 4 della Costituzione non regge più, e assieme ad essa si preparano a crollare tutte le democrazie occidentali.
La pietosa bugia novecentesca del governo del popolo, improntato su principi di carta costituente (la democrazia), ma strutturato su interessi di carta moneta (l’usura bancaria) ha esaurito il suo corso legale. L’impero digitale della COSE (nuovo soggetto asociale) sugli UOMINI (nuovo complemento ai minimi termini) colpirà duro tutto ciò che è ancora produttivo di vita.
L’uomo non governa più la storia di se stesso, ma affida il compito ad elementi esterni, sterili, freddi: i meccanismi, i modelli, le formule, i presidi, gli algoritmi, i codici digitali. Sembra paradossale che proprio nel tempo del potere al popolo, l’essere umano si sia lasciato seppellire nella sua irrilevanza.
In realtà il popolo è qualcosa di molto più vicino alla folla che non all’individuo e la sua psicologia è governata, tramite il subconscio di massa, essenzialmente da paure. La paura della crisi, la paura di non farcela, la paura del prossimo, la paura di soffrire, in soldoni, la paura della morte. Questo è il motore perché ogni emergenza diventi guerra: fu così per l’emergenza con cui Hitler voleva “proteggere” la razza ariana, è così per l’emergenza che porta Draghi & C. a “proteggere” la salute pubblica. In realtà sono tutti malcelati progetti di dominio.
Giorni fa, passando vicino all’immondo schermo a colori, ho sentito uno di questi giornalisti barbuti con cachemire (segni rilevatori di una carriera da rinnegato di prim’ordine) dire: ” Il vaccino ci ha salvati dalla morte”. Quale conferma! Il motore è sempre quello, lo spaventapasseri della morte può condurre il gregge disperso ovunque si voglia. L’importante è nascondere, con il paravento della politica, gli obiettivi veri della Ragion di Stato.
Messi così come siamo, cosa possiamo ancora fare? Capire!
Cosa possiamo ancora capire? Se c’è una strada percorribile pacificamente nel solco della libera autodeterminazione dei popoli.
Chi può indicare la strada? La storia, ma solo una storia nella verità.
Ho cominciato nel 2018 un intenso lavorìo di approfondimento e poi di traduzione filmica di una storia vera, su una vicenda tra le più essenziali e svergognate della nostra Repubblica: il delitto Moro, ovvero l’inciampo fatale su cui è crollata la nostra ambizione democratica.
Sentivo l’approssimarsi di una dolorosa primavera, preparata in 40 anni di premesse deleterie e false attese. Detto fatto: dal marzo del 2020 viene bypassato il nucleo intangibile della Costituzione, che Moro aveva protetto fino all’ultimo giorno di libertà. Tutto ciò che avviene oggi è sorretto dal silenzio complice delle Istituzioni e dell’intellettualità accademica e professionale. Sovranità, diritti fondamentali, uguaglianza formale e sostanziale vengono soppiantati da un becero totalitarismo dell’opinione, da arresti domiciliari di massa, da discriminazioni indegne e da terapie illegali fuori controllo; il tutto ben inteso, sotto il pretesto “politico” di garantire l’immortalità!
Il precedente storico che ha reso possibile questo scisma civile fra la mente e la ragione, fra la legge e il suo popolo, per noi contemporanei dello Stivale, va cercato nel dopoguerra e nel delitto Moro, cioè nei momenti di più vistosa frattura fra l’apparenza politica e la sostanza geostrategica.
Di questo vorrei parlarvi nella puntata di sabato 12 febbraio in Piazza Libertà a cui sono stato così gentilmente invitato; del Docufilm a cui ho dedicato risorse e quasi tre anni di vita nel più totale isolamento.
Attraverso il rigore di un’inchiesta incontrovertibile, il nostro documento racconta ogni prova, ogni decisiva testimonianza, ogni reperto, ma soprattutto la strada del martirio, intrapresa a beneficio dell’Italia, dal Presidente Aldo Moro.
Gli italiani hanno una strada che è stata sempre tenuta aperta da qualcosa di invincibile, cioè il sangue del suo martire.
Moro è il martire che ha pagato, su orme cristiche, cioè con il suo sangue, il nostro riscatto, affinché noi si abbia davanti, seppure nella selva delle menzogne a cui siamo sottoposti giornalmente, una via di salvezza.
In fondo lo statista democristiano morì perché aveva immaginato una possibilità per l’Italia sulla via del mondo; perché, a differenza delle attuali ombre che oggi ci governano, non fece finta di non vederla, anzi tentò di realizzarla con tutte le sue abilità, che erano quelle di un politico di razza, non di un avventizio imprestato ad aprire scatole di tonno in parlamento.
NON È UN CASO, MORO (questo è il titolo del docufilm) da subito chiarisce che è venuto il tempo di ribaltare il piano della narrazione di Stato perché la fiducia che si deve alle Istituzioni non sia più una delega in bianco all’esercizio indiscriminato del potere.
In Italia siamo così deficitari di informazioni storiche, che abbiamo sempre permesso agli speculatori della geopolitica di agire contro di noi, per poi lasciarci cadere addosso la colpa.
Si approssimano tempi duri e va capito il nocciolo della questione che non è: pandemia sì, pandemia no! Ogni verità di Stato è approssimazione grossolana di una truffa. La sostanza di una civiltà risiede nella capacità di padroneggiare il proprio racconto.
Dall’Italia che verrà saranno chiamati fuori, presto o tardi i traditori e tutti coloro che con la canna della storia puntata alla tempia, decideranno di tenere ancora gli occhi chiusi. Se c’è una possibilità per il popolo di rialzarsi e camminare eretti, c’è prima da ricostruire la via di una pacifica presa d’atto della verità su chi siamo.
Tommaso Minniti
www.noneuncasomoro.com