ISLAMABAD, 20 GEN – Una donna pachistana di religione musulmana è stata condannata a morte in Pakistan per aver inviato un testo e vignette del profeta Maometto, ritenuti “blasfemi”, via WhatsApp, in base a una legge antiblasfemia tra le più severe al mondo ma di rado applicata fino alla massima pena, quella capitale.
Condannata all’impiccagione
Aneeqa Ateeq, 26 anni, è stata arrestata nel maggio 2020 e accusata di aver condiviso “contenuti blasfemi” su WhatsApp, tra cui le vignette, secondo una memoria diffusa dal tribunale. La sentenza è stata emessa a Rawalpindi. Il tribunale ha ordinato che Aneeqa Ateeq sia “impiccata a morte” e l’ha anche condannata a 20 anni di prigione.
Sono circa 80 le persone incarcerate in Pakistan per blasfemia, la metà delle quali è stata condannata all’ergastolo o alla pena di morte, secondo la Commissione statunitense sulla libertà religiosa nel mondo. I difensori dei diritti umani ritengono che le accuse di blasfemia vengano applicate ingiustamente in Pakistan, a volte per risolvere controversie personali. Anche se spesso riguardano i musulmani, prendono di mira soprattutto le minoranze religiose, in particolare i cristiani.
A dicembre, il direttore di una fabbrica originario dello Sri Lanka è stato linciato e bruciato da una folla inferocita dopo essere stato accusato di blasfemia. Tra i casi più noti di accuse di blasfemia portate all’estremo in Pakistan, quello di Asia Bibi, la donna cristiana rimasta per otto anni nel braccio della morte fino a quando la Corte Suprema del Pakistan non l’ha assolta nell’ottobre 2018. (ANSA).