Di Gloria Callarelli – I poliziotti sospesi confessano: “Colleghi divisi, spirito di corpo finito. La politica ha tradito il popolo”
Fanno parte di uno dei corpi di polizia più famosi d’Italia, la Celere. Il disappunto nella voce di alcuni di loro, che abbiamo incontrato, è evidente. Hanno accettato di parlare perché la situazione è grave e ormai insostenibile e perché le misure restringenti decise dal governo in questi giorni hanno affossato anche una categoria, quella delle forze dell’ordine, da sempre fedele allo Stato.
“Siamo entrati in polizia per missione – raccontano i portavoce, Marco e Stefano, nomi di fantasia. Abbiamo prestato servizio in luoghi terremotati o nei territori colpiti dalle esondazioni. Ci siamo sempre sentiti al servizio del cittadino, quello che facevamo era per aiutare la gente, per far star bene il popolo. Purtroppo le istituzioni oggi lo stanno tradendo quel popolo: la scelta di accettare la sospensione quindi diventa – ammettono con rammarico – inevitabile.“
Sul banco degli imputati le scelte dell’attuale politica che non ascolta, sempre più scollata dalla realtà, sorda alle grida del cittadino oppresso, che perderà il lavoro se non accetta un trattamento sanitario obbligatorio ancora sperimentale con la conseguenza di non avere più pane da dare ai suoi figli. Una politica divisiva, “spietata”. Per alcuni inspiegabilmente spietata, per altri spietata con cognizione di causa: “Il fine appare essere il controllo sociale, unito a bieco business” sussurrano anche i poliziotti.
Spirito di corpo finito
Quel che è certo è che questa politica diabolica di fatto è riuscita nell’intento che l’accezione del termine suggerisce: quello di dividere.
Ed in effetti si stanno dividendo le famiglia figurarsi se non si sono divisi i colleghi nei luoghi di lavoro: “Dopo l’obbligo vaccinale anche nelle forze dell’ordine la discrepanza tra noi è diventata esagerata: molti colleghi non disobbediscono a questo ricatto per quieto vivere o perchè hanno una famiglia da mantenere e lo stipendio serve. Si trincerano dietro la frase che recita “è un ordine” e così spesso e volentieri ledono i diritti più elementari dei loro concittadini, ma in realtà noi sappiamo molto bene come l’ordine possa essere illegittimo. Facciamo un esempio: se ci intimano di sparare a una persona, l’ordine non lo eseguo mentre se mi ordinano di parcheggiare in divieto di sosta posso anche farlo ma lo contesto. Capite che c’è una differenza?
La cosa più sconcertante, però, è che dal Ministero gli ordini arrivati sono quelli di controllare i Green Pass, il resto dei reati invece può aspettare” confessano con disappunto gli agenti.
La domanda a questo punto sorge spontanea: se tutti impugnassero questo ordine la macchina si fermerebbe? “Teoricamente si, il problema è che nessuno lo fa. Il ricatto rispetto al posto di lavoro è troppo forte”. Il clima, dunque, anche in polizia è cambiato: lo spirito di corpo pare scarseggiare e il buonsenso è diminuito visibilmente: “Basti pensare che abbiamo visto colleghi inseguire colleghi per notificare i provvedimenti di regolamentazione della vaccinazione”. Un’ansia persecutiva, tra l’altro, che a volte si è tradotta, ci confidano, in controlli effettuati frettolosamente con la conseguenza di aver notificato provvedimenti anche laddove non erano previsti, vedi esenzioni e guarigioni.
L’intervista arriva a poche ore dall’ennesima manifestazione organizzata a Roma contro le misure del Green pass e che per qualcuno sarà un pericoloso assist al “sistema”: “Non secondo noi – precisano – con un popolo così obbediente non serve. Molti di noi comprendono le ragioni dei manifestanti, per carità, però c’è chi marca visita per saltare servizio in segno di solidarietà con loro, come abbiamo fatto noi, e c’è chi prima si è fatto offrire un the caldo dagli attivisti e poi il giorno dopo li ha manganellati. E’ quello che è successo a qualche nostro collega in servizio nei giorni di protesta dei portuali di Trieste. In quell’occasione ci siamo davvero vergognati”.
Una vergogna impossibile da dimenticare, nell’ottica di un futuro che a parte queste cicatrici lavorative lascia ancora nella rabbia e nell’incertezza: “Noi sospesi diciamo sempre che è difficile rientrare in servizio. Impossibile condividere questo modo di vivere e lavorare. Non ci sentiamo degli eroi, anche noi abbiamo i nostri dubbi, ma il fatto è che è proprio questione di coscienza. C’è da dire che c’è ancora speranza: molti dei nostri colleghi alla terza dose stanno realizzando che qualcosa non torna e sollevano dubbi, altri invece scelgono proprio di cambiare vita e andarsene all’estero. E, dirò, anche noi ci stiamo pensando. Continuare con le maxi restrizioni, con le mascherine, con i tamponi nonostante le dosi iniettate è un qualcosa di grottesco oltre che un suicidio sanitario, economico e politico. Difficile capire dove si arriverà: ma – chiudono – l’Italia di certo non sarà più, per loro stessa ammissione, il Paese che conoscevamo. Dobbiamo essere preparati”.