Non sono ancora arrivati e i ventitré miliardi della transizione energetica già presentano il conto. A dire la verità, è almeno un decennio che le aziende dell’energia non tolgono gli occhi da terra. Perchè senza la superficie per piantare pannelli fotovoltaici, pale eoliche e impianti idroelettrici, le rinnovabili non si fanno e i soldi non arrivano. E’ chiaro dunque che in un modello di sviluppo mai sazio di energia, l’oro del terzo millennio si misuri in ettari di terreno. Quello migliore? A sud, dove la densità abitativa è più bassa e le risorse naturali sono maggiori.
Come in Calabria, sui monti a cavallo della punta dello Stivale. In un territorio antico, sferzato dai venti occidentali del Tirreno e da quelli orientali dello Ionio. Vènti preziosi, che possono far girare le pale eoliche a 6,9 megawatt per ogni turbina, in una Regione già assaltata da una potenza totale di 1.102 megawatt. In piena autosufficienza e anzi, in sovrapproduzione.
La faggeta di Monte Coppari
Proprio lì, sul Monte Coppari, più di un migliaio tra faggi e abeti stanno per essere abbattuti, con una decina di ettari di bosco sventrati. Al posto di pingitopo, agrifoglio e salamandre svetteranno tre pale eoliche di ultima generazione. Alte 200 metri, che aggiungerebbero 20,7 megawatt di energia pulita al Meridione, che da solo già garantisce il 90% della produzione d’Italia. “Pulita” nel senso che non emette gas climalteranti, non nel senso che protegge quello che invece sta distruggendo, con buona pace della ragione stessa per cui viene finanziata.
“Hanno fretta perché i soldi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza arrivano nel 2022 e le aziende non hanno tempo di realizzare nuovi progetti. Stanno assorbendo e rinnovando l’iter di quelli vecchi di vent’anni, come questo”. A sfogarsi è Lorenzo Boseggia, presidente di Kalabria Trekking, portavoce della protesta contro i tre giganti eolici che annovera cinque amministrazioni comunali e molte sigle dell’associazionismo.
“Dicono che abbiano previsto la metà delle pale eoliche rispetto a quelle del vecchio progetto e che quindi sarà necessario abbattere meno alberi. Ma non è vero”. No che non è vero. Perché se è un fatto che le pale eoliche siano passate da sei a tre, è altrettanto certo che queste ultime hanno più che raddoppiato la loro altezza e la loro potenza. Il che significa che anche l’impatto a terra è più vasto. E per far filar via la procedura più liscia, l’azienda proponente ha chiesto che l’impianto venga dichiarato di pubblica utilità.
A chiarire i fatti è l’avvocato Maurizio Fernando Teti, giurista ambientale incaricato dai Comuni di tentare lo stop al procedimento. “Le infrastrutture connesse alla “singola” pala eolica prevedono di allargare i sentieri di 5 metri e mezzo. Di scavare 19 chilometri di cavidotti per portare l’energia fino al sito di trasformazione e di spianare piazzole per i mezzi da lavoro. Questo coinvolgerà un ecosistema che si estende per più di dieci ettari. La faggeta di Monte Coppari non ci sarebbe più. Tra un mese circa la Regione Calabria dovrebbe arrivare ad un parere conclusivo”.
D’altronde il presidente Draghi l’aveva annunciato. “La transizione ecologica avrà dei costi”. Tra questi, il saccheggio degli ultimi ecosistemi del Sud. Si era dimenticato però di citare i profitti. Perchè un parco eolico val bene un migliaio di faggi. https://www.today.it