Miozzo: “non si fanno autopsie sui contagiosi”. Esperti: “Falso”

Agostino Miozzo scuola

di Antonio Amorosi per affaritaliani.it  – Miozzo sulle autopsie non fatte a inizio pandemia: “Non si fanno sui pazienti che sono definiti morti per una malattia contagiosa”. Ma gli esperti spiegano che non è vero

Agostino Miozzo, classe 1953, medico e dirigente pubblico italiano, dal 5 febbraio 2020 al 15 marzo 2021 membro del Comitato Tecnico Scientifico (CTS) con le funzioni di coordinatore, ha rilasciato al direttore di Affaritaliani, Angelo Maria Perrino, lo scorso 7 novembre 2020 un’intervista.

Alla domanda del direttore: “Le autopsie che non furono fatte, fu un errore o no?”
Miozzo: “Questa è una sciocchezza assoluta perché le autopsie non si fanno sui pazienti che sono definiti morti per una malattia contagiosa. Questa è una regola di medicina legale, non si fanno le autopsie perché il morto è contagioso. Quindi questa è una indicazione di sanità pubblica. Che qualche geniale filosofo del senno del poi se la sia inventata che vuole, siamo ricchi di filosofi del senno del poi.”

Ma è davvero così?
L’abbiamo chiesto al professor Vittorio Fineschi, uno dei massimi esperti italiani del settore, ordinario di Medicina legale all’Università Sapienza di Roma e direttore dell’obitorio comunale della capitale. Insieme ad altri colleghi e alla Società Italiana di Anatomia Patologica ha formulato le linee guida poi adottate per eseguire le autopsie durante il COVID.

Professore, è così come sostiene Miozzo?

Fineschi sommessamente ride: No. Non è che non si fanno autopsie su pazienti contagiosi o morti per malattie infettive. Ci sono state all’inizio della pandemia una serie di direttive ministeriali che non consentivano di praticare le autopsie, dopodiché è stata subito modificata con una ulteriore direttiva ministeriale che prevedeva la possibilità di farle negli ambienti predisposti e quindi sicuri e protetti cioè le sale a BLS3. E quindi si sono cominciate a fare

Cosa sono le sale a BLS3?

Sale che hanno alta protezione, sono sale che hanno un minimo stabilito, per legge, di areazione, sale che hanno isolamento della reazione stessa e hanno un percorso pulito-sporco. Cioè sono sale che hanno proprio dei prerequisiti, dei requisiti specifici

Infatti ci ha sorpreso l’affermazione di Miozzo, perché non ci risulta valida. Sì, il contagio si trasmette oltre che per via fecale anche per via aerea quindi non riusciamo a capire come sia possibile non fare le autopsie adottando i protocolli di sicurezza…

Allora dunque le dirò, il problema è che qualche volta… quando il paziente morto è contagioso

Si possono generare qualche volta, durante l’autopsia, degli aerosol, se si usa acqua calda ad esempio, se si vaporizza. Quindi il contagio non è zero nel caso, ecco, per capirsi, questo può accadere anche nel caso del morto. Le faccio un esempio

Prego

Lei pensi, le faccio un riferimento ad una patologia vecchia, alla famosa cosiddetta ‘mucca pazza’. Lì c’è un grande rischio di contagio e le sale devono avere lo stesso livello di protezione che è previsto per quelle COVID. Poi consideri che adesso si sono stratificati anche studi pubblicati, tra cui anche uno nostro, che dimostrano che il virus persiste qualche giorno all’interno del cadavere, cioè la positività riesce a sopravvivere quando noi tamponiamo i cadaveri, facciamo il test molecolare sui cadaveri, ma la carica virale è molto bassa e quindi probabilmente…

Un vostro studio? Della Sapienza, intende?

Sì, nostro della Sapienza, esatto…e quindi con ogni probabilità non ha capacità infettante

E secondo lei perché dall’inizio il Governo si è mosso in questo modo?

Perché all’inizio non si sapeva nulla di questo virus e quindi è stata una cautela necessaria. Pensi che cosa sarebbe successo se il virus si fosse trasmesso, anche a seguito delle prime autopsie, agli operatori sanitari, a chi fa autopsie, sarebbe stato drammatico

Quindi è stata praticamente una concomitanza di cause, però è scorretto dire che non si fanno le autopsie, giusto?

Certo, certo, noi le facciamo su tutti, proprio non abbiamo mai avuto limitazioni purché ci sia una sala appositamente predisposta che ha i requisiti previsti dalla norma, insomma…

Noi infatti siamo rimasti sorpresi quando Miozzo ha fatto questa affermazione…

Fineschi ride: Gli sarà sfuggita… dai. Il ministero della Salute ha formulato numerose raccomandazioni e circolari. Siamo passati dalle prime che vietavano assolutamente o cercavano di limitare nella maniera più assoluta il confronto autoptico e le autopsie, a più miti raccomandazioni. In cui si intravedeva la possibilità di far ricavare dall’autopsia un proposito terapeutico, così come è sempre stato nella storia.

Covid, dal tecnocrate Miozzo auto-assoluzione ma nessuna risposta convincente

La mancanza di autopsie eseguite sui decessi Covid 19 rappresenta un “lockdown della scienza” in Italia. A maggio del 2020 lo hanno scritto, nero su bianco, i medici delle Università di Catania, Foggia e Catanzaro che hanno pubblicato sulla prestigiosa Journal of clinical medicine un articolo sull’opportunità mancata perché, rilevavano, “su 9.709 articoli scientifici redatti, soltanto sette hanno riportato indagini istologiche” e “sono state descritte solo due autopsie complete e la causa della morte è stata elencata come Covid-19 in una sola di esse”.

Infatti i pazienti non morivano per insufficienza polmonare grave, quanto per embolia polmonare massiva o altri gravi fenomeni tromboembolico.
Sostenere, come fa Miozzo, che le autopsie non si fanno sui pazienti che sono definiti morti per una malattia contagiosa non risulta da nessuna regola di medicina legale. Resta un mistero capire perché Miozzo sia convinto della sua affermazione.

Come è sempre stato nella storia le autopsie hanno un valore fondamentale per comprendere le cause della morte dei pazienti e consentono di poter giungere ad un’eventuale terapia. Dall’autopsia e dai reperti autoptici il clinico può acquisire informazioni determinanti per comprendere quali organi siano stati colpiti, come e perché. Conoscenza che porta poi scienziati e medici, anche dopo aver visto i reperti cadaverici, a modificare le terapie da adottare per intervenire sui pazienti ancora in cura.