di Stefano Montanari – Non sono uno psicologo né uno psichiatra né un antropologo: nella vita io faccio altro e non ho la minima intenzione d’invadere territori che non mi competono. D’invasori, chi banalmente ridicolo, chi pericoloso, ne abbiamo fin troppi. Senza pretese, mi limito a fare qualche considerazione da persona che ha abbondantemente superato la soglia della vecchiaia e, come è ovvio, ha raccolto qualche esperienza. E la mia considerazione riguarda l’odio, un sentimento ignoto a tutta la zoologia con l’eccezione di quella che Desmond Morris chiamò la Scimmia Nuda, vale a dire l’Homo sapiens.
L’odio fa parte a buon diritto della frazione oscura della psiche: una frazione condivisa con la paura della quale è fratello gemello, una frazione dell’irrazionalità capace di prendere possesso dello strumento che dovrebbe avere come motore la ragione diventandone padrone incontrastato.
Sollecitare quella frazione è tanto facile quanto redditizio. S’inventa un nemico o, meglio, si sceglie qualcuno al quale addossare le colpe più fantasiose e lo si trasforma in oggetto di odio. Provare la responsabilità del bersaglio non ha la minima importanza e, se mai qualcuno pretendesse una prova, rischierebbe di finire nella schiera degli odiati. Chi ha letto il Levitico e ricorda il capro rituale per Azazel, chi pone mente all’istituto della fatwa, chi ha letto qualcosa dell’antropologo René Girard sa che l’idea, con varie sfumature, appartiene anche a più di una religione.
Numero crescente di odiatori
Approfittando della vulnerabilità, c’è chi, abile e con mezzi adeguati a disposizione, riesce ad impadronirsi di un’intera società, oggi potenzialmente coincidente con il Pianeta. Parte integrante del progetto è la creazione di un numero crescente di “odiatori”, reclutati di norma tra le vittime trasformate in complici come i kapò dei campi di concentramento. Nient’altro che degl’infelici da compiangere.
Quanto agli odiati, se tutti sono comunque destinati a soffrire, l’accanimento più rabbioso viene tradizionalmente esercitato nei confronti di chi offre maggiore resistenza e non si piega. Da qui gl’insulti, le accuse più assurde e stravaganti, l’apartheid sempre più soffocante, l’esclusione dal lavoro e, per ovvia conseguenza, dai mezzi di sostentamento. Di fatto, nient’altro che pratiche di tortura generalizzate.
Se si dovesse pronosticare il futuro prossimo, scommettere sull’impennata di una violenza di giorno in giorno più truculenta e istituzionalizzata fino a diventare prima un merito per chi la esercita e poi un “dovere sociale” avrebbe ampie possibilità di successo. Così sarebbe se si scommettesse sul sequestro dei beni e sulla proibizione di accedere al proprio denaro. Si tratterebbe di una guerra civile combattuta sull’inciviltà con tante vittime convertite nei sicari più crudeli e spendibili, e l’esito sarebbe necessariamente disastroso. Sia chiaro: le mie sono semplicemente illazioni, magari incubi personali, e niente di più.
Se si dovesse pronosticare su un futuro un po’ più lontano, credo che la scommessa con maggiori probabilità di buona riuscita sarebbe quella di puntare sulla sconfitta di chi ha creato gli “odiatori”. Il perché della sconfitta è facilmente spiegabile: perché costoro si sono schierati contro la Natura, e le loro possibilità di vittoria sono di fatto nulle.
L’odio ha caratteristiche sovrapponibili a quelle delle epidemie: esplode periodicamente, raggiunge picchi che possono essere devastanti, poi, così come è comparso, svanisce ed è dimenticato, per riemergere come fosse una novità non appena ci sarà chi vorrà trarne vantaggio. Se l’Homo sapiens è l’animale più stolto del Pianeta o, di fatto, l’unico animale stolto, le epidemie di odio ne sono una dimostrazione inequivocabile.
Per quanto mi riguarda, per cultura e per indole io non riesco ad accettare la violenza, di qualunque specie essa sia. Non so quanto fondata sia la mia speranza, ma non voglio lasciarla morire. Da non credente, voglio ricordare le varie illuminazioni divine, dalla caduta sulla via di Damasco alla fiammella pentecostale degli Atti degli Apostoli. Se una divinità esiste, se noi siamo suoi figli e se, come è per un padre, la divinità ci ama, non posso non sperare che intervenga. E non per vendicare le vittime ma per ripristinare ciò che è giusto.
Stefano Montanari