Racket sulle salme dei morti per Covid che non possono essere vestite

morti di coid

Era un “sistema collaudato nel tempo” quello adottato da alcuni operatori dell’obitorio dell’ospedale Sacco di Milano: consigliavano ai familiari dei defunti le imprese funebri a cui rivolgersi e permettevano “agli impresari”, a cui passavano informazioni, “di entrare e uscire” dalla camera mortuaria, ricevendo “denaro per tali favori”.

L’ennesima indagine su una versione particolare di “racket del caro estinto” che ha portato all’esecuzione di tre misure cautelari interdittive, ma ha anche svelato una serie di “violazioni” delle regole anti-Covid e pure la proposta, respinta al mittente da un addetto, di “vestire” la salma di un morto a causa del virus in cambio di “400 euro”.

L’esposto all’origine dell’inchiesta

L’operatore dell’obitorio il 17 novembre 2020, in piena seconda ondata pandemica, ha depositato alla Polizia locale di Milano, che ha condotto le indagini, uno dei tre esposti che hanno fatto scattare l’inchiesta coordinata dal pm Stefano Civardi e dall’aggiunto Maurizio Romanelli. Una decina di giorni prima, stando alla denuncia, “un soggetto dell’impresa di pompe funebri Penati”, il cui titolare risulta tra i 13 indagati, si sarebbe rivolto a lui così: “Guardami negli occhi, ti spiego io come funziona esattamente qui (…) qui funziona così, prendi i vestiti e vestila, se è una salma Covid non ti preoccupare che te ne do anche 400, i famigliari la vogliono vestita”.
Violate le regole anti-Covid

Salme dei morti per Covid non possono essere vestite

Inizialmente l’offerta sarebbe stata di “200 euro”. Le salme dei morti per Covid, però, stando ai regolamenti sanitari, non possono essere vestite. Al suo rifiuto l’imprenditore avrebbe replicato: “Sei solo tu che non li prendi, a questo punto manda un’infermiera a vestirla”. E, sempre stando all’esposto, l’operatore avrebbe “assistito all’arrivo dell’incaricato dell’impresa” che “effettivamente ‘incassava’ la salma”.

A denunciare gli accordi illeciti e le “buste” di soldi che vedevano girare sono stati anche il titolare e un altro addetto di quell’impresa di servizi funebri che solo per due settimane ha lavorato nell’obitorio “a supporto” a causa della pandemia. Il gip Stefania Donadeo nell’ordinanza spiega che “gli indagati hanno dimostrato particolare spavalderia nell’attuazione e partecipazione alle pratiche corruttive”. La gestione “dei servizi obitoriali dell’ospedale – scrive ancora – è patologicamente affetta da un radicato sistema” di corruzione “intercorrente tra gli operatori” della camera mortuaria e “impresari delle agenzie funebri operanti sul territorio di Milano”.

Morti per Covid, lo “smistamento delle salme”

Le misure interdittive hanno riguardato un operatore di 57 anni, sospeso “dall’esercizio del pubblico servizio” per un anno, perché “smistava” le salme in cambio di denaro (prendeva “50 euro” per vestirle) e i due rappresentanti delle imprese Sofam Ap srl di Baranzate e ‘Maggiore di Gramendola Antonio’ di Milano, per i quali è stato disposto il “divieto di esercitare l’attività di impresario funebre” per un anno. Tuttavia, il sistema sarebbe stato molto più esteso. E comunque gli indagati “hanno continuato imperterriti a delinquere non curanti delle iniziative contenitive della direzione ospedaliera”. Tra i vari episodi, stando ad una testimonianza, anche la presunta violazione dei “protocolli” nel caso “sospetto” di una morte che sembrava attribuibile alla sindrome della cosiddetta “mucca pazza”.  https://notizie.tiscali.it/