È legittima la decisione di differire da 21 a 35 giorni la somministrazione della seconda dose del vaccino Pfizer utilizzato per la lotta al Covid-19. L’ha deciso il Tar del Lazio con due sentenze con le quali ha respinto due ricorsi proposti da due gruppi di cittadini laziali. Oggetto dell’impugnativa era soprattutto la nota della Regione Lazio del 10 maggio scorso, adottata a sua volta sulla base della circolare del Ministero della salute che ha recepito il verbale della Commissione Tecnico Scientifica del 30 aprile.
(ANSA) – ROMA, 04 GIU – Il Tar, nelle sentenze, in via preliminare ha evidenziato come la motivazione alla base dei provvedimenti impugnati sia stata quella “di ampliare il più possibile lo spettro dei soggetti da sottoporre a prima vaccinazione”; “del resto, secondo alcuni organismi internazionali e sulla base di diversi pareri scientifici, lo slittamento da 3 a 6 settimane della seconda dose (poi ridotte a 5 dalla Regione Lazio con il provvedimento qui impugnato) sarebbe in grado di non recare particolare nocumento alla popolazione da sottoporre a vaccinazione”.
I giudici amministrativi poi hanno osservato la non sussistenza di alcun difetto d’istruttoria nella decisione contestata, non preceduta – ad avviso dei ricorrenti – da alcuna analisi di carattere scientifico. “La censura risulta per tabulas smentita – scrive il Tar – ove soltanto si consideri che l’Organizzazione Mondiale della Sanità, con proprie raccomandazioni dell’8 gennaio 2021, aveva già ampiamente affermato che, proprio nell’obiettivo di ampliare al massimo il numero di soggetti da sottoporre a prima vaccinazione, l’intervallo tra le due dosi di vaccino Pfizer potrebbe essere esteso fino a 42 giorni (ossia 6 settimane, poi ridotte a 5 dalla Regione Lazio), e ciò anche sulla base di dati e di fattori clinici attualmente disponibili”.
Seconda dose e foglietto illustrativo
Quanto al lamentato vizio di eccesso di potere (i ricorrenti sostenevano che il foglio illustrativo del vaccino raccomanda la somministrazione della seconda dose a distanza di tre settimane dalla prima), i giudici hanno ritenuto prevalente la testi del Cts (frutto di una “corposa produzione documentale”), piuttosto che quella dei ricorrenti che “si basa unicamente su quanto riportato nel foglietto illustrativo del farmaco stesso.
Foglietto che tuttavia reca una mera ‘raccomandazione’, in tal senso, e non piuttosto una ‘controindicazione'”. (ANSA).