Inchiesta Covid, Pm Bergamo: “Oms come un muro di gomma”

oms pm bergamo

di Emilio Parodi e Crispian Balmer – (Reuters) – L’atteggiamento dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nei confronti dei magistrati italiani è stato come “un muro di gomma”, secondo quanto affermato in un’intervista a Reuters dal procuratore aggiunto di Bergamo che coordina l’inchiesta sulla pandemia da Covid-19 dilagata nel marzo 2020 nella provincia lombarda. “Attendiamo fiduciosi che ci venga data risposta alla rogatoria inviata all’Oms oltre un mese fa, ma fino a oggi è stato un muro di gomma con noi”, ha detto il magistrato Maria Cristina Rota.

I pm bergamaschi hanno inviato lo scorso 8 marzo una rogatoria internazionale a Ginevra, sede dell’Oms, chiedendo lumi sulla corrispondenza fra l’organizzazione e il ministero della Salute sui piani pandemici italiani dal 2012 a oggi.

IL portavoce dell’Oms Christian Lindmeier ha dichiarato che “è prassi dell’Oms assistere sempre le autorità locali in tali questioni, se richiesto e nel modo appropriato”. “L’Oms sta attualmente esaminando una richiesta di assistenza giudiziaria internazionale da parte della Procura della Repubblica di Bergamo”, ha aggiunto.

La procura di Bergamo ha dovuto superare molti ostacoli per poter ascoltare in qualità di testimoni alcuni funzionari dell’Oms protetti dall’immunità diplomatica.

I pm sono passati attraverso il ministero degli Esteri e il rappresentante dell’ambasciata italiana a Ginevra che ha quindi inoltrato le domande scritte all’ufficio legale dell’Oms. “Infine, l’Oms non ha mai trasmesso le citazioni come testimoni ai diretti interessati e anzi ha invitato tutti a non presentarsi”, ha detto il sostituto procuratore.

OMS, Il RAPPORTO SCOMPARSO

Nei mesi scorsi, comunque, tutti i funzionari Oms convocati come testi dalla procura di Bergamo si sono presentati di loro iniziativa. Il filone di inchiesta su cui sono stati ascoltati, dicono due fonti a conoscenza del dossier, riguarda il rapporto dell’Oms pubblicato il 13 maggio e poi subito ritirato che esprimeva alcuni giudizi critici sulla gestione dell’emergenza Covid da parte dell’Italia.

Il rapporto non è mai stato ripubblicato.

Lindmeier ha dichiarato che il rapporto è stato pubblicato prima che fosse espletato l’iter completo di approvazione e ritirato perché conteneva delle inesattezze. Per questa vicenda, dicono le fonti, è indagato per false dichiarazioni al pm il direttore aggiunto dell’Oms Ranieri Guerra, indicato dall’autore del rapporto, Francesco Zambon, come colui che lo avrebbe fatto ritirare dal sito per non irritare il governo italiano.

Guerra, in una dichiarazione ai media venerdì scorso si è detto “stupito e amareggiato per questa situazione”. “Non conosco di cosa si tratti, non ho la più pallida idea sul perché i magistrati abbiano deciso in tal senso”, ha aggiunto.

Zambon si è dimesso dall’Oms il mese scorso lamentando che l’organizzazione ha ignorato la sua richiesta di aprire una inchiesta interna.

“Se ci sono conflitti di interesse di questo tipo, allora significa che l’organizzazione (Oms) non puo’ essere indipendente nella sua azione e in qualunque cosa faccia”, ha detto Zambon a Reuters in gennaio.

Il portavoce dell’Oms ha detto che Guerra all’epoca dei fatti era inviato in missione per supportare la risposta italiana del Covid-19 su richiesta del governo.

“In questa veste ha riferito sia al direttore generale sia al direttore regionale e ha allertato sia per quanto riguarda la necessità di controllare i dati, sia per apportare le opportune correzioni al rapporto”, ha detto Lindmeier.

“RETICENZA AL MINISTERO”

Sui piani pandemici italiani si concentra l’attenzione della procura di Bergamo che dalla primavera 2020 conduce un’inchiesta con le ipotesi di reato di epidemia colposa e falso, con il fine di verificare se a livello regionale e nazionale siano state attuate le misure necessarie per affrontare l’emergenza.

I pm hanno interrogato nei mesi scorsi come testimoni sia l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte sia il ministro della Salute Roberto Speranza, oltre a numerosi dirigenti del ministero. E hanno fatto eseguire una serie di acquisizioni di documenti in Regione Lombardia, al ministero della Salute e all’Istituto superiore di sanità.

Il procuratore aggiunto Rota ha definito “reticente” il comportamento dei funzionari ministeriali interrogati. “Noi chiedevamo a chi competesse una certa funzione all’interno del ministero e la risposta era sempre ‘al ministero'”, ha detto Rota.

Il ministero della Salute non ha risposto alla richiesta di commento inviata per email da Reuters.

IL NODO DEI PIANI PANDEMICI

Secondo le fonti, i magistrati sono arrivati alla conclusione che il piano pandemico italiano non sia mai stato aggiornato dal 2006 al 2020, nemmeno dopo che il Parlamento europeo ha reso tale aggiornamento obbligatorio per gli Stati membri dell’Unione europea.

Roma nel corso degli anni non avrebbe comunicato all’Oms che il piano non veniva aggiornato. Dal 2007, nel formulario di autovalutazione sull’aggiornamento e la conformità del piano pandemico nazionale destinato all’Oms, l’Italia si è sempre data una valutazione pari a 5, cioè la più elevata, quella che uno Stato si dà quando ha aggiornato e implementato pienamente il piano pandemico.

Il ministero della Salute non ha risposto a una richiesta di commento.

Le fonti riferiscono, inoltre, che dal 2012 al 2015 l’Italia non ha inviato all’Oms alcuna autovalutazione. Da qui la richiesta della procura all’Oms della corrispondenza intrattenuta con l’Italia in quegli anni.

L’inchiesta punta poi a verificare se il piano pandemico, pur “vecchio” e non aggiornato, sia stato pienamente attivato. Le due fonti spiegano che la procura pensa di no.

“Da gennaio, col primo allarme dalla Cina, l’Oms aveva detto a tutti gli stati di attenersi ai piani pandemici influenzali”, ha detto una delle fonti. “Il piano prevedeva da quel momento: formazione personale, percorsi sporco-pulito, mappature degli ospedali, indicazione farmaci di cui fare approvvigionamento. Tutte cose che sono state fatte almeno due mesi dopo, se non a prima ondata conclusa”.

L’inchiesta è nata a Bergamo dopo che centinaia di parenti delle vittime si erano unite presentando denunce.

Il primo filone d’indagine, che vede indagati alcuni dirigenti regionali e sanitari lombardi, riguardava la mancata imposizione della zona rossa nei comuni di Alzano e Nembro e sulla mancata chiusura dell’ospedale di Alzano, focolaio di una infezione che ha reso la provincia di Bergamo la più colpita d’Italia nella prima ondata.

Da lì si è passati poi al piano pandemico regionale e a quello nazionale.