Covid, Zangrillo: “8 persone su 10 sono in ospedale per altre malattie”

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In ospedale oggi “almeno 8 pazienti su 10 sono affetti da gravi patologie che nulla c’entrano con il virus”. Lo sottolinea Alberto Zangrillo, primario di anestesia e rianimazione dell’Irccs San Raffaele di Milano che, in una lunga intervista rilasciata al ‘Giornale’, fotografa la situazione degli arrivi al pronto soccorso della sua struttura, il quale viaggia “su una media di 120 accessi giornalieri. Siamo passati – spiega lo specialista – da una media del 50% di pazienti Covid della prima ondata al 30% di ottobre, al 13% di febbraio-marzo 2021”.

Dati che preoccupano “moltissimo”, dice Zangrillo, “perché la realtà di chi lavora in ospedale e deve occuparsi di tutti è completamente diversa da quella narrata quotidianamente, ormai da più di un anno. Purtroppo si continua a morire di cancro, di malattie cardiovascolari e di malattie neurologiche”. Per il prorettore dell’università Vita-Salute, in questo momento “la profilassi vaccinale è la priorità, giocare tutta la partita in ospedale equivale a giocare una partita di calcio in 8 contro 11”.

E ancora: “Il vostro medico di base è fondamentale”. Alla domanda se c’è qualcosa che avremmo potuto fare meglio l’esperto sottolinea che “non dobbiamo mai dimenticare che l’Italia e la Lombardia in particolare hanno subito l’impatto diretto di un evento imprevedibile e sconosciuto, prima di ogni altro Paese del mondo occidentale”.

Ma “nel recente passato abbiamo pensato di vincere eseguendo quanti più tamponi possibile, mentre il più credibile campanello di allarme è il sintomo da riconoscere al volo“. Va corretta, secondo Zangrillo “questa irresponsabile tendenza alla drammatizzazione – continua – Ho vaccinato personalmente nelle Rsa, ma la cosa che più mi ha colpito è stata incontrare a domicilio persone anziane che non vedono le scale di casa da più di un anno e sono convinte di morire non uscendo più dalla loro camera. La depressione e la mancanza di prospettiva uccidono più del virus“.

In merito alla prospettiva di misure di lockdown fino al 30 aprile, il primario Zangrillo osserva di essere “ancora più convinto” oggi del fatto che si debba “imparare a convivere con il virus. Perché i vaccini, le cure tempestive ed il senso di responsabilità ci devono portare a fare rivivere il Paese. Ce lo chiedono gli anziani abbandonati, i giovani angosciati, le famiglie distrutte dai debiti. Dobbiamo credere in una reale possibilità di risveglio di tutte le attività produttive”.

Inoltre “la comunicazione deve essere rispettosa della sensibilità delle persone più fragili: se le cose vanno meglio, va detto chiaramente e soprattutto il continuo richiamo al numero dei decessi è a parer mio, fuori luogo e sono certo, proprio perché vivo in ospedale, che verrà presto corretto”. Un ultima risposta è a chi lo ha accostato a Salvini nei giorni scorsi: “Che io morirò medico lo sanno ormai anche i sassi, questo però non mi deve impedire di esprimere il mio punto di vista.”

Salvini ha fatto una proposta molto saggia e coraggiosa ed io mi sono sentito di condividerla. Qui è in gioco la sopravvivenza di tutti noi e ciò costituisce un valore ben superiore alle logiche di contrapposizione politica, per cui alla fine vincerà chi avrà avuto il coraggio di programmare sapendo valutare i rischi e i benefici. Ogni cura ha i suoi effetti collaterali ed in questo momento l’Italia, per guarire, necessita di una cura robusta e specifica”, conclude Zangrillo. ADNKRONOS