Bettin: «Pene troppo miti alla gang di nigeriani, indebolita la lotta allo spaccio». Il consigliere comunale Verde e Progressista Gianfranco Bettin punta il dito contro la sentenza della Corte d’Appello che ha ridimensionato le pene inflitte ai cittadini nigeriani finiti nella retata della maxi operazione di polizia contro lo spaccio a Mestre, nel luglio del 2018. «Una sentenza che sconcerta e indebolisce la lotta», commenta.
«La gang ha a lungo ha spadroneggiato (e ancora opera pericolosamente) in città, soprattutto, ma non solo, nella zona tra via Piave, la stazione ferroviaria e Marghera. Riformando significativamente la sentenza di primo grado, che aveva duramente colpito boss e spacciatori, la Corte ha considerato diversamente i reati commessi, interpretando la loro attività come caratterizzata da singole vendite (o detenzioni) di piccole quantità di droga (soprattutto eroina, e spesso la famigerata e micidiale “eroina gialla”), così da ridurre fortemente le condanne irrogate in primo grado a decine di pusher (per fortuna, solo in minor misura riducendole ai boss del narcotraffico).
La legge in vigore distingue tra quantità modiche o meno di sostanze detenute o vendute, punta a differenziare consumatori e spacciatori (e, tra questi ultimi, il loro diverso calibro), ma non impedisce affatto di colpire duramente il traffico e lo spaccio – continua Bettin -.
La straordinaria indagine della procura di Venezia, con la direzione distrettuale antimafia, diretta dalla pm Paola Tonini insieme alla squadra Mobile di Venezia e al Servizio centrale operativo (Sco) della polizia di Stato (un’indagine davvero eccezionale per intelligenza, solidità, vastità e capacità di documentare e provare le accuse) forniva tutti gli elementi necessari per ricondurre quei singoli atti dei pusher, quelle minori quantità di droga che maneggiavano di volta in volta, all’attività criminale complessiva della gang, devastante per la città e per la vita di tante persone.
Gang di nigeriani, tanti pusher rimessi in libertà
Così, a riprova, aveva infatti interpretato la sentenza di primo grado, giustamente durissima, applicando il reato associativo anche ai pusher. Sminuzzare, invece, il tremendo reato complessivo (costato decine di vittime) in tanti singoli illeciti ha condotto a questo ridimensionamento delle pene e alla rimessa in libertà di tanti pusher. Con tutto il rispetto, si rischia di essere deboli dal lato delle necessarie certezza e severità della pena».