Science: ritardare seconda dose di vaccino aumenta varianti e contagi

seconda dose di vaccino

“Diversi Paesi tra cui il Regno Unito e il Canada”, scrive uno studio pubblicato sulla rivista Science a cura degli studiosi Chadi M. Saad-Roy, Sinead E. Morris, Jessica E. Metcalf, Michael J. Mina e Rachel E. Bakerhanno, “hanno scelto di ritardare la seconda dose di vaccino nel tentativo di aumentare il numero di individui che ne ricevono almeno una e in risposta a vincoli logistici”. I vaccini non arrivano, quindi la scelta di alcuni Paesi è stata quella di usare almeno la prima dose e di dilatare la distanza prevista per la seconda.

Questa politica di somministrazione della seconda dose può avere sull’immediato un effetto positivo ma sul lungo termine può aumentare il rischio di nuove varianti virali e di successive ondate di contagi. Il nuovo studio, che simula l’evoluzione dei casi di Covid 19 e pubblicato sulla rivista Science, si concentra sulla scelta di utilizzare il vaccino con queste modalità, prendendo a modello di verifica i vaccini di Pfizer-BioNTech, Moderna e Oxford-AstraZeneca, anche se gli studiosi sostengono che lo studio sia estensibile a tutti gli altri vaccini che entreranno in campo.

Le varianti, si sa, possono facilmente essere interpretate come il meccanismo di adattamento del virus all’uomo e dell’uomo al virus. Non per questo sono da considerare eventi devastanti. Ma di sicuro vanno contrastate.

“Le sperimentazioni cliniche dei vaccini, e i dati epidemiologici raccolti”… “sono piuttosto ottimistici in merito all’efficacia della prima dose”, scrivono gli studiosi.

In soldoni il richiamo ritardato si è dimostrato anche efficace nel ridurre i contagi sul breve periodo ma sul lungo termine la reazione immunitaria si è dimostrata meno efficace, considerando l’equilibrio e i “compromessi immunologici ed epidemiologici esistenti tra individui e popolazioni”. In questo senso, scrivono i ricercatori, “utilizzando modelli semplici, abbiamo dimostrato che diversi regimi possono avere impatti epidemiologici ed evolutivi cruciali, che si traducono in un’ampia gamma di potenziali risultati a medio termine. Il nostro lavoro getta anche le basi per una serie di future considerazioni relative alla diffusione dei vaccini durante le epidemie in corso, in particolare per prepararsi a future pandemie”.

“Se l’immunità vaccinale a una dose è debole”, scrivono i ricercatori, “il risultato potrebbe essere più pessimistico; in particolare, una strategia vaccinale con un periodo di inter-dose molto lungo potrebbe portare a benefici marginali a breve termine (una diminuzione del carico a breve termine) al costo di un carico di infezione più elevato a lungo termine e un potenziale sostanzialmente maggiore di evoluzione virale. Questi effetti negativi a lungo termine possono essere alleviati dall’eventuale somministrazione di una seconda dose, anche se moderatamente ritardata”.

La capacità di immunizzare dal virus chi ha ricevuto una sola dose dipende dalla forza del vaccino e dalla capacità che ha di creare reazioni immunitarie nel soggetto, visto che la stessa immunità data da una dose agisce sul virus facilitando la comparsa di mutazioni e varianti. Di fatto le attuali incertezze che circondano la forza e la durata dell’immunità compromettono il quadro. Questa forza e la durata della protezione clinica restano incerte. Ma d’altronde lo studio rivela che dove c’è stato il ritardo sulla seconda dose di vaccino si sono osservati picchi epidemici.

C’è da sapere che la seconda dose di vaccino diventa in questi casi fondamentale perché ogni virus innesca una risposta unica nel sistema immunitario che coinvolge un insieme specifico di cellule nel sangue, nel midollo osseo e in tutto l’organismo, chiamate, tra le altre, cellule T, cellule B. La seconda dose, per i vaccini che prevedono due dosi, sollecita le cellule T che hanno una vita immunitaria lunga e che possono conferire all’organismo un’immunità duratura nel tempo. Ma quantificare i tempi di durata resta un’incognita viste anche le tempistiche di sperimentazione.

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