Il rapporto con il governo italiano passa attraverso il ministro per l’innovazione tecnologica Vittorio Colao, un McKinsey Boy
Il tenore delle polemiche si era troppo arroventato perché il ministro dell’Economia, Daniele Franco, e quindi il premier Mario Draghi non si affrettassero a spiegare. L’arruolamento di McKinsey come consulente per la stesura del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), anticipato da Radio Popolare, aveva scatenato la solita indignazione a orologeria della sinistra di governo e l’ironia di Fratelli d’Italia sull’opportunità di affidarsi a esperti esterno per il cosiddetto «esecutivo dei migliori».
E così ieri pomeriggio una nota di Via XX Settembre ha precisato che «la governance del Pnrr italiano è in capo alle Amministrazioni competenti e alle strutture del Mef che si avvalgono di personale interno degli uffici».
L’amministrazione «si avvale di supporto esterno nei casi in cui siano necessarie competenze tecniche specialistiche o quando il carico di lavoro è anomalo e i tempi di chiusura sono ristretti, come nel caso del Pnrr».
L’attività di supporto richiesta a McKinsey «riguarda l’elaborazione di uno studio sui piani nazionali Next Generation già predisposti dagli altri paesi dell’Ue e un supporto tecnico-operativo di project-management per il monitoraggio dei diversi filoni di lavoro per la finalizzazione del Piano». Il contratto con McKinsey, conclude la nota, «ha un valore di 25mila euro +Iva» ed è stato affidato direttamente perché al di sotto della soglia per indire una gara.
Tra le varie analisi prodotte da McKinsey si annovera Shaping the digital transformation in Europe («Dare forma alla trasformazione digitale in Europa»), un pamphlet pubblicato dalla Commissione Ue lo scorso settembre come vademecum per i Recovery Plan nazionali in tema di transizione digitale e di investimenti appropriati allo scopo. Oltretutto, le società di consulenza sono tradizionalmente impegnate nelle valutazioni di impatto delle policy, compito che Bruxelles chiede a tutti i piani di ripresa.
Eppure l’ex ministro Francesco Boccia (Pd) ha definito «grave» il coinvolgimento della società di consulenza. Il suo collega di partito ed ex ministro pure lui, Peppe Provenzano, ha chiesto al governo di «chiarire» sollecitando la successiva precisazione. Restano due questioni tra le righe. La prima è oggettiva: Boccia e Provenzano sono coloro che hanno invitato Matteo Renzi a non criticare eccessivamente l’ex premier Giuseppe Conte in quanto intendeva creare una task force gestita da 6 manager e 300 persone per lo sviluppo del Recovery Plan.
McKinsey ha già collaborato con il governo Conte
Evidentemente, ci sono staff che lavorano al Pnrr che vanno più o meno bene a seconda del «colore» politico. Il Tesoro ha fatto informalmente sapere che McKinsey già collabora con i ministeri ed ha aiutato il governo Conte con il dl Ristori e lo stesso Provenzano nella prima stesura del Recovery Plan. La seconda questione è soggettiva nel senso che attiene alle valutazioni di Draghi e di Franco. Se hanno guardato a McKinsey, evidentemente nei ministeri ci sono competenze che scarseggiano.
Il rapporto con il governo italiano passa attraverso il ministro per l’innovazione tecnologica Vittorio Colao, un McKinsey Boy, essendo cresciuto nella società prima di diventare un manager di successo. Colao ha già usufruito delle consulenze di McKinsey quando era a capo della commissione istituita dal governo Conte per la fase 2 della pandemia, commissione il cui lavoro poi venne messo da parte dall’allora premier, suscitando l’ira di Colao. Il consigliere economico principale del governo Renzi era Yoram Gutgeld, manager con diversi anni d’esperienza proprio in McKinsey.