Covid, Nature: disastro Comitato scientifico, errori su errori

comitato scientifico

di Antonio Amorosi – Per Nature la nostra gestione del Coronavirus ha le evidenze che conosciamo (a marzo 2021 siamo sempre terzi a livello mondiale per morti su 100.000 abitanti, aggiungiamo noi) anche grazie a un Cts che agisce in campi in cui non ha competenza. Per capirci: non hanno neanche un virologo. Altro che “modello italiano” strombazzato dalla politica nelle tv! E’ passata sotto silenzio ma a febbraio Nature la rivista inglese forse più prestigiosa nella comunità scientifica mondiale, ha letteralmente sbriciolato il modo di muoversi del nostro Comitato scientifico, i 24 esperti che consigliano il governo sulla pandemia (comitato guidato dalla Protezione civile nazionale).

Nature fa una disamina puntuale su tutte le perplessità che il modo di operare del Cts ha sollevato nella comunità scientifica: dall’Italia sotto il tracollo dei morti e i responsabili dei migliori centri di ricerca clinica e biotecnologica, che proponevano di aumentare la capacità diagnostica sfruttando il potenziale dei loro centri di ricerca accademici e non ottenevano risposta, ai documenti secretati per lungo tempo, la mancanza di tamponi nel Paese, fino alla confusione su cosa dovessero fare le persone asintomatiche. La non considerazione dei centri di ricerca è stata “la prima di numerose decisioni prese da Comitato scientifico che, nell’ultimo anno, hanno lasciato perplessi gli esperti italiani che considerano il test e il tracciamento come chiave”.

“D’altra parte, il Comitato scientifico a volte ha fornito indicazioni su argomenti in cui i suoi membri hanno poca o nessuna esperienza”, scrive in modo lapidario Nature e fa un esempio calzante: “a gennaio, (il Cts,ndr) ha affermato che mantenere gli studenti sull’apprendimento a distanza avrebbe causato ‘un grave impatto sul (loro) apprendimento, sul lato psicologico e personalità’.

La dichiarazione ha avuto conseguenze sulle politiche nazionali, ma nessun membro del Cts ha esperienza nel campo dell’istruzione, della psicologia infantile o della neuropsichiatria”. Sembrava tanto un’opinione che può fare chiunque al bar, non un dato scientifico.

D’altronde spiega la rivista, “meno della metà dei suoi attuali membri (del Comitato scientifico, ndr) sono nominati a titolo personale, mentre gli altri sono responsabili di istituzioni sanitarie nominati d’ufficio al Cts. Solo due membri hanno una chiara esperienza nel campo della biotecnologia, ma in campi estranei alle malattie infettive”. A quel punto la rivista scrive: “Una ristretta gamma di competenze nel Cts può essere una delle ragioni alla base di tali decisioni. Il pannello ha figure di livello mondiale in pneumologia, malattie infettive, gerontologia ed epidemiologia, ma manca di aree critiche di competenza nella diagnostica molecolare, virologia molecolare e screening ad alto rendimento”.

Il comitato scientifico italiano non ha competenze

Una struttura poi che si chiude in sé stessa e che non dà risposte, muovendosi come fossimo in un’autocrazia. Lo stesso “coordinatore del Comitato scientifico, Antonio Miozzo non ha risposto alle richieste di commenti di Nature Italy“, spiega l’autore dell’articolo, il biologo molecolare Sergio Pistoi.

L’epilogo della proposta del professor Andrea Crisanti, dell’Università di Padova, autore di uno dei primi studi sul ruolo dei soggetti sintomatici nella diffusione del virus, può essere la cartina al tornasole per capire il funzionamento del Cts.

Ad agosto, racconta Nature, Crisanti inviava al Ministero della Salute una bozza di piano per elaborare fino a 400.000 test molecolari al giorno, “un aumento di sette volte rispetto alla capacità nazionale”. Il piano, era “sostenuto da 150 accademici di diversa estrazione, si basava su un’automazione pesante e gestori di liquidi ad alto rendimento per ridurre i costi e il tempo per campione. Nemmeno Crisanti ha ricevuto risposta dal governo. I verbali delle riunioni del CTS non menzionano alcuna discussione sulla sua proposta”.

Infine oggi la gestione discutibile delle “varianti” che senza un adeguato sequenziamento del virus ci ha reso più deboli nella terza ondata. E cita Davide Ederle, presidente dell’Associazione italiana dei biotecnologi, che fa riferimento ai “pochi dati che l’Italia sta producendo sulle varianti circolanti di SARS-CoV-2, che si ottengono sequenziando il genoma del virus e sono fondamentali per monitorare le epidemie. L’Italia sta attualmente sequenziando 1,3 su 1.000 campioni di virus con un tempo medio di 2 mesi per caricare i dati su archivi pubblici come Gisaid, una delle performance più basse al mondo. A confronto, il Regno Unito sta sequenziando quasi 40 volte più campioni, con un tempo mediano alla deposizione di 21 giorni”.

www.affaritaliani.it