Quando finisce il Covid? Per Science, in campo scientifico una delle riviste più prestigiose a livello mondiale, dipende dalle nostre capacità di far diventare il virus endemico e non così virulento come lo è ora.
di Antonio Amorosi – La rivista americana ha di recente pubblicato uno studio che rivoluziona le nostre conoscenze sull’evoluzione del coronavirus Sars-Cov-2. Due scienziati, Jennie S. Lavine del Dipartimento di Biologia della Emory University, Atlanta (Usa) e Ottar N. Bjornstad del Dipartimento di Biologia e del Centro Dinamica delle malattie infettive dell’Università dello Stato della Pennsylvania, hanno sviluppato uno studio basandosi sull’evoluzione degli altri coronavirus. I due sostengono che il Sars-Cov-2 è diventato così diffuso da esserci poche possibilità di eliminazione diretta. Gli esseri umani però convivono con tanti altri coronavirus endemici che causano più reinfezioni, ma generano un’immunità diffusa sufficiente a proteggere gli adulti da gravi malattie, avendone indebolito l’aggressività.
Parliamo quindi di virus paragonabili ai comuni virus influenzali, con un rapporto di mortalità per infezione (IFR) pari allo 0,001. Quindi più il virus circolerà velocemente (R0=6) e più in fretta ce lo toglieremo di torno. Ma se continuiamo a limitarne la diffusione ci metteremo almeno 10 o 20 anni, per uscire da questa situazione. Bisogna ovviamente usare tutte le difese in nostro possesso, dalle cure diffuse ai vaccini, eccetera, per proteggere le categorie a rischio, come ad esempio anziani e persone con più malattie. Ma al contempo bisognerebbe eliminare qualsiasi forma di distanziamento sociale e di protezione per poterlo diffondere più possibile e ridurne l’aggressività, portandolo a manifestarsi come una normale influenza. Questo processo oltre ad abbassarne la virulenza ne ridurrebbe anche l’età di diffusione, interessando principalmente i bambini che hanno un sistema immunitario più forte e reattivo.
I due scienziati sono arrivati a queste conclusioni seguendo l’evoluzione degli altri coronavirus in circolazione. ma tenendo anche conto del profilo della malattia strutturata per diffusione di età e valutando l’impatto della vaccinazione che potrebbe, con l’attuale sistema di bassa diffusione, avere effetti di protezione relativamente limitati.
“La nostra analisi dei dati immunologici ed epidemiologici sui coronavirus umani endemici (HCoV)”, dicono i due, “mostra che l’immunità che blocca le infezioni diminuisce rapidamente ma che l’immunità che riduce la malattia è di lunga durata”. Per evitare che la situazione attuale duri qualche decennio occorrerebbe agire con strategie diverse, consapevoli che attualmente la reinfezione è possibile un anno dopo la prima infezione, anche se con sintomi più lievi.
Una volta raggiunta la fase endemica l’esposizione primaria avverrebbe nell’infanzia. La strategia che l’umanità dovrebbe seguire è: “affinché la maggior parte delle persone venga infettata così presto nella vita, persino più giovane del morbillo nell’era pre-vaccino, il tasso di attacco deve superare la trasmissione dalle sole infezioni primarie”. Dovremmo cioè evitare la sua eccezionalità. Un’infezione susseguente (ripetuta), causata dallo stesso germe, ma col quadro suggerito, potrebbe persino non notarsi.
Come sconfiggere il Covid e tornare alla normalità
“Tuttavia, una volta che i dati demografici dell’infezione raggiungono uno stato stazionario, il nostro modello prevede che i casi primari si verifichino quasi interamente nei neonati e nei bambini piccoli, che, nel caso di Covid-19, sperimentano un CFR basso e un IFR contemporaneamente basso”, spiegano i due scienziati, cioè con bassi rischi. “Si prevede che le reinfezioni negli individui più anziani siano comuni durante la fase endemica e contribuiscano alla trasmissione, ma in questa popolazione allo stato stazionario, gli individui più anziani, che sarebbero a rischio di malattia grave da un’infezione primaria, hanno acquisito l’immunità che riduce la malattia dopo l’infezione durante l’infanzia”, se si ragiona sul lungo periodo, cioè quando l’umanità si sarà adattata al virus e viceversa.
“Questa transizione”, ad un virus più debole e relativamente innocuo, endemico, “può richiedere da pochi anni a pochi decenni, a seconda della velocità con cui si diffonde l’agente patogeno”, scrivono Lavine e Bjornstad. Infatti va compreso anche che “rallentare l’epidemia attraverso misure di allontanamento sociale che riducono R 0 vicino a 1 appiattisce la curva, ritardando così le infezioni e prevenendo la maggior parte dei decessi precocemente, offrendo un momento critico per lo sviluppo di un vaccino efficace”.
In sostanza per eliminare gli effetti più gravemente patogeni della Sars-Cov 2 il virus va fatto circolare. In questo modo saremmo anche più in grado di trovare un vaccino sempre più efficace: “se è necessario un frequente potenziamento dell’immunità mediante la circolazione virale in corso per mantenere la protezione dalla patologia, allora potrebbe essere meglio che il vaccino imiti l’immunità naturale nella misura in cui previene la patologia senza bloccare la circolazione del virus in corso”.
In più i due scienziati sostengono che “i risultati preliminari suggeriscono che il vaccino a base di adenovirus è migliore nel prevenire infezioni gravi rispetto a quelle lievi o asintomatiche, e sarà importante produrre tecnologie simili per gli altri vaccini”. Tradotto: il vaccino migliore è quello basato su vettori virali adenovirus. Nella ricerca questa tecnologia di vaccino sembra apparire come la più efficace e andrebbe riprodotta come sistema per fabbricare altri vaccini.
Nel sistema con adenovirus, dopo la vaccinazione, viene prodotta la proteina spike superficiale che attiva il nostro sistema immunitario affinché attacchi il virus e lo debelli.