Imola, caso Marta Pellizzi: Inps interviene in autotutela per salvarsi la faccia

Marta Pellizzi
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Sono Marta Pellizzi, 31 anni e vivo a Imola.
La scorsa settimana ho inviato agli organi di stampa, locali e nazionali, e alle Istituzioni, una lettera aperta con la quale avevo raccontato la mia storia particolarmente sconvolgente per l’accanimento che INPS mi ha dimostrato in questi ultimi dieci anni.
Sono ipovedente grave per via del permanente danneggiamento dei nervi ottici lesi da un meningioma, un tumore cerebrale che dal 2007 mi continua a fare visita. Sì, perché di tumori ne ho avuti quattro, e l’ultimo lo avrò ancora in testa e fino a quando non sarò operata. In più ho dolore cronico ogni giorno.

Dopo un periodo di lunga convalescenza avevo due scelte: l’una rimanere nel buio più totale, l’altra lottare con tutte le forze e riprendere in mano la mia vita. Ho scelto la seconda.
Grazie all’ausilio della tecnologia e dell’assistenza della mia mamma, mi sono laureata in Scienze e tecnologie della comunicazione e non ho atteso invano un lavoro protetto (che peraltro non ho avuto mai la possibilità di avere) ma ho scommesso su me stessa, lavorando per conto mio. Diffondo l’importanza e l’utilità in ambito Business e sociale dell’uso dei social.
Aver costruito questa piccola attività con un minimo di ritorno economico mi ha reso una donna libera. Mi ha ridato consapevolezza, coraggio e dignità: quella dignità che un’Istituzione come l’INPS ieri e oggi ha profondamente ferito.

Dopo il mio dramma iniziato con il primo pesante intervento chirurgico, vedendomi compromessa la vista, l’INPS mi riconobbe l’invalidità che, dopo poco tempo, decise, in sede a una revisione, di abbassarmi al di sotto del limite per il riconoscimento di un beneficio economico (attualmente ammonta a 297 euro mensili), e senza riconoscimento di indennità di accompagnamento (ovvero di quella prestazione economica che l’INPS riconosce a chi non è in grado di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore oppure ha l’incapacità di compiere atti della vita quotidiana).

Rimasi sconvolta da quel regalo presentato dallo Stato. Quella volta tirai fuori la forza e feci causa a INPS. La vinsi nel 2012 con una Sentenza (n. 1319/12 del Tribunale di Bologna). Il Tribunale riconobbe e tutelò il mio stato di salute assegnandomi invalidità al 100% con accompagnamento.

I giuristi direbbero che una Sentenza passata in giudicato fa stato tra le parti. Evidentemente questa sentenza non ha fatto stato tra me e INPS, perché dopo sette anni sono stata nuovamente convocata a una visita alla quale io, con grande fiducia, mi sono comunque presentata. Consegnai la mia cartella di referti medici accumulati in sette anni di controlli e cure del dolore cronico.

Alla visita portai pure il bagaglio della mia vita, le mie fatiche e obiettivi raggiunti nel frattempo. Non mi presentai con un medico legale o un avvocato, l’INPS stavolta non avrebbe ricommesso lo stesso brutale errore (sorriso amaro).

Entrai con la mia mamma che dal 2007 è come un’ombra, il mio bastone, il mio cane guida. Una donna straordinaria, in grado di sacrificare la sua vita per supportare ogni mia battaglia o progetto.

Quel giorno non trovai un oculista a visitarmi, ma due medici tali qualificatisi che mi posero solo qualche domanda di ordine personale, guardarono i documenti e chiesero ulteriori approfondimenti diagnostici (come se una cartella di 3 kg non fosse abbastanza).Esami che a causa delle restrizioni Covid nel frattempo intervenute (le chiusure delle visite ambulatoriali) riuscii a eseguire con molta fatica (tranne uno, che come più volte ho fatto presente alla commissione, non risulta eseguibile agevolmente in quanto l’Ospedale di Modena lo riserva ai residenti).

Aspetto il loro responso, come se fosse il voto di un esame universitario.

Mi arriva il verbale l’11 gennaio 2021 e  rimango incredula, ancora una volta, l’ennesima. Non ci vedo, ho il quarto tumore in testa e l’INPS mi ritiene miracolosamente migliorata abbassando l’invalidità al 70% con la negazione dell’accompagnamento.

Quando c’è una sentenza non ci si può permettere di eluderla. Quando una persona è in uno stato di salute grave e permanente, un ente come l’INPS non si può permettere di metterlo in dubbio senza un motivo, specie se tutto è documentato e lo ha ottenuto rivolgendosi al Giudice.

Il Tribunale di Bologna ha condannato l’ente pesantemente.

Probabilmente mi sono rassegnata, l’INPS è come il mio tumore: recidiva, si accanisce contro di me e gioca con la mia vita.

Quando ho voluto raccontare la mia storia ho ricevuto la solidarietà di tante persone comuni. Le ringrazio pubblicamente.

Il 15 gennaio 2021 il Dr. Pasquale Tridico mi ha telefonato personalmente e si è scusato per il pasticcio.

Il giorno dopo ricevo una comunicazione via mail personale. Poche righe, superficiali, non un verbale, mi dicono che l’INPS si è mosso in autotutela riconoscendo il 100% di invalidità. Null’altro; anzi, mi invia un debito (parliamo di circa 1.100 euro) per delle maggiorazioni introdotte a partire da luglio dello scorso anno.

Così ho anche un debito da restituire. L’INPS delegittima a metà il giudizio della commissione da una parte, ma lo conferma per un’altra. Com’è possibile?

Queste poche righe le rivolgo al Presidente Mattarella e alle istituzioni: non sono un lamento, non sono un pianto, non voglio assistenzialismo e pietismo; mi sono sempre rialzata in piedi e rimboccata le maniche per dare un senso alla mia vita e vivere, e non sopravvivere, nella Società.

Il mio è un urlo di rabbia, profonda rabbia verso l’istituzione INPS che rappresenta lo Stato, quello in cui credevo.

Con l’ultimo intervento centrale l’INPS ha voluto salvarsi solo la faccia e ha confermato l’assoluta incapacità di saper compiere un accertamento medico come la legge prevede di fare.

Una Circolare INPS (n. 5551 del 20.12.2018), proprio a causa dell’eterogeneità degli accertamenti di cecità e ipovisione che si verificano nel territorio italiano, ha dettato alle commissioni INPS come si deve compiere obbligatoriamente un accertamento medico e come si redige un verbale a soggetti come me, raccomandando indicazioni operative da seguire e accertamenti oftalmoscopici e campimetrici, manovre ricognitive, e sottolineando di limitare la rivedibilità, sebbene rientri nella discrezionalità dell’ente, ai soli casi in cui nelle condizioni cliniche accertate al paziente sussistano effettive possibilità di miglioramento tali da comportare un diverso e futuro giudizio medico legale. Ho diritto a un verbale conforme alla legge e non a due righe di mail. Un verbale che dia atto di un accertamento regolare eseguito da specialisti nelle mie patologie.

Se dovessero servire documenti (sempre che qualcuno li abbia mai letti quelli consegnati – nei verbali sono stati tutti omessi), mi si deve dare la possibilità di eseguire gli accertamenti. Forse INPS non ha ancora compreso la permanenza della mia situazione. I nervi ottici danneggiati non tornano a funzionare. Lo insegnano alle elementari.

Concludo con l’estratto di una Sentenza della Corte Costituzionale n. 346 del 14.6.1989 che così recita:

“La possibilità di cumulo delle prestazioni assistenziali connesse alle invalidità con l’indennità di  accompagnamento  trova  quindi ragione nella diversa funzione di tali provvidenze: le quali tendono, nell’un caso, a sopperire alla condizione di bisogno di chi  a  causa dell’invalidità non è in grado di procacciarsi i necessari mezzi di sostentamento;   nell’altro,   a   consentire   ai    soggetti    non autosufficienti  condizioni  esistenziali compatibili con la dignità della persona umana. L’assicurare tali condizioni rientra tra i doveri inderogabili di solidarietà additati dall’art. 2 Cost., ed  ha  preminente  rilievo nell’ambito  dei compiti di assistenza posti allo Stato dall’art. 38, primo comma”.

Al Presidente Matterella chiedo: una persona nella mia situazione, oltre a dover lottare contro la malattia, deve rivolgersi nuovamente – e per lo stesso motivo – all’Autorità Giudiziaria per riavere quanto gli spetta di diritto?

Continuerò a portare avanti la mia battaglia, parlandone sui social con l’hashtag #IoNonMollo. Lotto per me e chi è più debole di me. Nessuno deve più nascondersi.