di Francesco De Remigis – L’Olanda andrà alle urne a stretto giro, ma il premier Mark Rutte potrebbe già oggi mettersi in panchina senza aspettare il 17 marzo, quando sono previste le legislative.
L’hashtag «Rutte dimettiti» è infatti in cima alle tendenze di Twitter ormai da quattro giorni nei Paesi Bassi. Al punto che i ministri dei 4 partiti di destra e di centrosinistra, che compongono la coalizione di governo, non escludono di rassegnare le dimissioni in blocco, oggi stesso: rei di non aver vigilato, anzi d’aver sostenuto «un processo di massa» da parte del fisco.
Circa 20mila famiglie per anni perseguite per frode, trascinate in tribunale, annichilite economicamente dallo Stato, che aveva ordinato loro di rimborsare i sussidi per i figli: i cosiddetti bonus. La burocrazia aveva persino negato il diritto di far ricorso; costringendole dal 2012 a fine 2019 a vendere case o averi pur di rimpolpare le casse pubbliche. Una «ingiustizia senza precedenti», l’ha definita il presidente della commissione d’inchiesta parlamentare Chris van Damm, che il mese scorso ha licenziato il rapporto-choc: scatenando prima una bufera mediatica, poi una maxi-denuncia e ora la crisi di governo.
In sostanza, il fisco olandese ha dato la caccia a migliaia di famiglie per anni, spingendole verso la bancarotta pur di far loro ripagare soldi percepiti solo apparentemente in modo indebito. Molto più spesso si trattava di una svista o di un errore di forma. Di cui ora dovrà rispondere l’esecutivo. Già perché «la responsabilità» per errori attribuibili allo Stato va cercata nella sfera politica, hanno detto i pubblici ministeri la scorsa settimana.
Venti famiglie tra quelle coinvolte hanno quindi intrapreso un’azione legale contro tre ministri in carica (di tre partiti della coalizione di Rutte), con l’accusa di negligenza. In nome del buon governo, l’avvocato delle vittime Vasco Groeneveld martedì ha denunciato Tamara van Ark (Assistenza medica), Wopke Hoekstra (Finanze) ed Eric Wiebes (Affari economici) e anche due ex ministri. Sarebbero stati violati pure l’articolo 1 della Costituzione (il principio di uguaglianza) e la Convenzione sui diritti dell’infanzia.
L’esecutivo si è scusato per i metodi. E se nel marzo scorso Rutte aveva già promesso a titolo di risarcimento circa 30mila euro per ogni famiglia, le testimonianze delle vittime, rese pubbliche, hanno travolto il premier liberale.
Rutte, al potere da una decade con metodi da capo-azienda, assicura che il suo governo, dimettendosi o meno oggi, continuerà a gestire la crisi sanitaria. E farà «tutto il possibile per garantire lo svolgimento delle elezioni del 17 marzo nonostante la pandemia di Covid-19».
Il leader del partito laburista di opposizione, Lodewijk Asscher, ministro degli Affari sociali all’epoca dei fatti (2012-2017), dice di non sapere che il fisco stava «dando la caccia a migliaia di famiglie». Ammettendo che certe negligenze hanno «reso il governo nemico del popolo», ha lasciato la guida del Partito del lavoro olandese. «Tutti nella macchina dello Stato dovrebbero chiedersi come impedire che accada di nuovo».
Nella maggior parte dei casi si trattava di un modulo compilato in modo errato o di una firma mancante. Ma l’apparato burocratico-amministrativo non ha guardato in faccia a nessuno. Prima ha chiuso i rubinetti degli assegni familiari. Poi un «sistema forzoso» ha obbligato a restituire retroattivamente le indennità ricevute per anni. Divorzi, separazioni, vite distrutte.
Così nella democratica Olanda i principi dello Stato di diritto sono finiti nel cestino. E alcuni cittadini costretti a diventare senzatetto dai Dracula del fisco.
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