di Matteo Castagna, Resp. Naz. Circolo Christus Rex-Traditio – – Il sociologo Franco Garelli, nel suo Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio (Il Mulino) traccia il nuovo volto dell’Italia nel suo rapporto con la Religione. Egli ci racconta che «fra i 18 e i 34 anni si riscontra la quota più alta, dal 35 al 40%, di coloro che si dichiarano senza Dio, senza preghiera, senza culto, senza vita spirituale».
Negli ultimi cinque lustri è, parallelamente, diminuita drasticamente la pratica religiosa. Non se la vede meglio la politica. Dal crollo del muro di Berlino, quindi con la morte delle ideologie, in Occidente sembra prevalere l’indifferenza. Se ne ha un riscontro documentato che si riversa sulla morale comune, tanto che solo il 20% degli italiani nega la liceità dell’aborto in qualsiasi caso, il 63% è favorevole all’eutanasia, 40 italiani su 100 sono solo “cattolici culturali”. In epoca di pandemia, sembra che un buon 20% si sia messo a pregare, sebbene non sia dato a sapersi con certezza chi, come e perché. Di sicuro, la cosiddetta “strizza”, che passa dopo la grande paura, la sta facendo da padrona, non un ritorno alla Fede o un ritorno al sacro.
Viviamo un rigido inverno spirituale, immersi nella secolarizzazione, annichiliti da una pandemia dalla quale non si vede ancora un autentico spiraglio d’uscita, persi in un soggettivismo a tratti egoistico e a tratti panteistico, che, nel relativismo globale, fa scegliere a molti l’errore che più aggrada e concede a pochi di corrispondere seriamente alla grazia della perseveranza nelle virtù di una vita sinceramente cristiana. Kerry Bolton fa notare come alcuni, pur credendosi cattolici, si gettano tra le braccia della sinistra, “sia che si tratti della Vecchia, Nuova o Futura Sinistra”, ovvero il globalismo egualitarista, l’ecologismo, il materialismo, il mondialismo, lo scientismo nichilista. “Ma tutte e tre – dice sempre Bolton – cercano soprattutto di distruggere i tradizionali legami umani, coltivati nel corso dei secoli, con violenti e rapidi tumulti, durante i quali non si tiene conto della sofferenza umana, scatenati in nome d’una concezione dell’umanità del tutto astratta. Così, un analista sociale, quale fu Lothrop Stoddard, giustamente definì questa tendenza “rivolta dei sub-umani”, e ciò rimane costante, indipendentemente da qualsiasi ‘nuovo’ e ‘superiore’ paludamento, dietro al quale la sinistra tenta di riciclarsi”.
E se, invece, il motivo di questa “civiltà allo sbando”, smarrita e senza riferimenti soprannaturali fosse causata dall’abbandono dell’insegnamento di San Tommaso d’Aquino?
Egli lasciò, nei secoli, un segno indelebile, riuscendo a coniugare il pensiero di Aristotele con la tradizione cattolica. In Tommaso troviamo la radice classico-cristiana smarrita volutamente da 300 anni di cultura illuminista nel Vecchio Continente, che sta andando verso la sua rovina sulla ‘via della Seta’, anziché riprendere la salutare ‘via di Damasco’, che è solo lì che aspetta il cambio di rotta. San Tommaso, attraverso questa mirabile sintesi, è riuscito a parlare all’uomo di ogni epoca, perché sempre attuale. Solo l’uomo della post-modernità appare sordo. L’Aquinate ha un approccio realista: cerca di osservare e descrivere la realtà politica com’è, nel bene e nel male, per comprendere l’ordine che essa rivela e quindi ottenere indicazioni anche operative su come migliorarla, per quanto è possibile. In questo modo dà sollecitazioni profonde.
Noi siamo abituati a vedere il potere politico come un male necessario. Per San Tommaso, invece, è un bene voluto da Dio, per aiutare l’uomo a raggiungere il suo fine, ossia a perfezionare la sua natura e, in ultima istanza, a raggiungere la salvezza eterna. Per lui, infatti, il potere politico non è mai mero uso della forza, ma è sempre legato all’autorità, che è la capacità, di chi comanda, di dare disposizioni razionali, cioè conformi all’ordine che è già realizzato (dagli uomini e da Dio) nelle cose, ma solo parzialmente, e richiede, per questo, che noi lo completiamo.
Il comando politico è dato ad esseri razionali e per questo è efficace se essi riconoscono la sua razionalità. Dunque, il potere politico è sempre moralmente qualificato, se è usato bene, per migliorare l’ordine della realtà. E’ immorale e squalificante se lavora per il male o per distruggere il Bene. Abbiamo visto prima, come Bolton ritenga che la sinistra, declinata in ogni modo, tenda solo alla sovversione e quindi sussista in quell’ ideologia che la Chiesa ha già condannato come “intrinsecamente perversa”.
San Tommaso ci rammenta che il fine della politica è il bene comune, ossia quella realizzazione dell’ordine che permette agli uomini di vivere assieme in modo che ciascuno sviluppi al massimo grado possibile la propria umanità, secondo le sue caratteristiche individuali, ma conformemente alla natura comune dell’uomo. In S. Tommaso troviamo l’esaltazione della bellezza delle diversità, che si compenetrano armoniosamente nella nostra civiltà, dai tratti universali perché splendidamente identitari.
L’ordine della realtà permette di parlare di legge naturale: questa è un nucleo di principi generali sempre validi; essi permettono di guidare la ricerca delle leggi positive che i governanti devono porre, secondo le esigenze concrete di ciascuna comunità, ovviamente senza contraddire i principi generali, sempre validi, come tentano di fare le “sinistre”, assieme alle “false destre” e al “centrismo”, oramai mummificato, che resterà, comunque nella storia, come la sintesi della mediocrità tra Bene e male. Forse sta proprio nell’aver resi “fluidi” e non più intoccabili i principi della legge naturale, il vulnus dei grandi problemi del terzo millennio. Con essa abbiamo messo in discussione la nostra civiltà.