Coronavirus, oggi la Cina accusa India e Bangladesh

Fabio Caironi – – PECHINO – L’Accademia cinese delle scienze ha pubblicato uno studio sulle origini della pandemia di coronavirus che è destinato a riaccendere la discussione su come e quando questo virus è venuto alla luce.

Prima di Wuhan – Come sottolinea il South China Morning Post, la questione non riguarda la prima volta che il Sars-CoV-2 è stato individuato e localizzato nell’uomo: ciò è avvenuto nella città cinese di Wuhan nel dicembre del 2019. Semmai, osservano gli scienziati cinesi, la questione è se davvero il virus ha avuto origine a Wuhan o altrove. La loro risposta è no: al momento dell’individuazione era già presente in svariate parti del pianeta, ma ancora “sotto traccia”. Vari studi hanno suggerito questa possibilità, non da ultimo quello compiuto dall’Istituto dei tumori di Milano e dall’università di Siena e che afferma che il coronavirus fosse in circolazione in Italia già a settembre 2019.

La possibile provenienza indiana – Secondo la ricerca (parte di essa è stata sottoposta a revisione paritaria e pubblicata nei giorni scorsi), condotta dal team guidato dal dottor Shen Libing dell’Istituto per le scienze biologiche di Shanghai, la prima trasmissione dal vettore animale (ancora non identificato con certezza) all’uomo non sarebbe avvenuta nel famigerato mercato di Wuhan ma nel subcontinente indiano, in India o Bangladesh.

Un nuovo approccio – Il team di Shen ha osservato che l’approccio classico per tracciare l’origine dei ceppi di coronavirus, noto come analisi filogenetica, non ha funzionato con il Sars-CoV-2. Si è quindi deciso di tenere nota del numero di mutazioni per ogni ceppo virale. Quelli che ne presentano un maggior numero esistono da più tempo ma i ceppi con meno mutazioni sono, a loro giudizio, quelli più vicini all'”antenato” del virus che sta mettendo in difficoltà il mondo. Le ricerche hanno dimostrato che esistono ceppi con meno mutazioni rispetto a quello individuato a Wuhan, perciò si è stabilito che la metropoli cinese «non può essere il primo luogo in cui è avvenuta la trasmissione tra esseri umani».

Allora, dove? – Stando al documento, il ceppo con meno mutazioni è stato localizzato in otto paesi di quattro continenti: Stati Uniti, Australia, Russia, Grecia, Italia, Repubblica Ceca, India e Bangladesh. Per capire l’origine del primo focolaio, gli scienziati hanno osservato l’area con la maggiore diversità genetica del virus – che dovrebbe dimostrare il luogo dove esiste da più tempo. La risposta è stata: India e Bangladesh. «Sia le informazioni geografiche del ceppo meno mutato che la diversità suggeriscono che il subcontinente indiano potrebbe essere in cui si è verificata la prima trasmissione da uomo a uomo del Sars-CoV-2».

Fattore chiave: il caldo – A innescare la pandemia potrebbe essere stata l’ondata di caldo eccezionale registrata in India nel maggio 2019, a causa della quali uomini e animali hanno attinto acqua alle stesse fonti. Il virus avrebbe così iniziato a circolare ma sarebbe stato difficile da rilevare a causa della bassa età media della popolazione e della scarsità di casi gravi.

Dubbi sulla bontà del metodo – Vari scienziati a livello globale hanno avanzato dubbi sulla bontà della scoperta. I principi secondo i quali è stata effettuata la ricerca e lo stesso software utilizzato non sarebbero dello standard previsto per questo tipi di analisi. Il professor Marc Suchard dell’Università della California a Los Angeles, sempre citato dal quotidiano di Hong Kong, indica che la filogenetica è sì molto promettente, ma anche che «ciò che possiamo apprendere arriva con una notevole incertezza». Un virologo indiano, chiamato dal South China Morning Post a dare un giudizio sui dati, ha parlato di «interpretazione errata dei risultati».

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