di Nino Materi – – A porre fine allo scandalo del sussidio concesso al sicario del giudice siciliano ammazzato dalla Stidda il 21 settembre 1990 ad Agrigento è stata la Guardia di finanza della stessa città siciliana. Per quel delitto, molti anni dopo, vennero condannati all’ergastolo i quattro membri del commando. Tra loro anche Gianmarco Avarello, in carcere con sette ergastoli: la social card sequestrata è formalmente intestata alla moglie. Un killer di professione capo del commando che assassinò Livatino: delitto del quale non si è mai pentito. Ma questo non gli ha impedito di ottenere, tramite la moglie, l’elargizione del reddito di cittadinanza: sostegno economico da parte del governo che dovrebbe aiutare i disoccupati , non malavitosi e detenuti.
Ma non si pensi che il bonus concesso a uno degli assassini di Livatino sia un errore eccezionale: dall’inizio dell’anno, infatti, sono oltre cento i sussidi incassati illegittimamente in varie parti d’Italia da soggetti pregiudicati per reati gravissimi e legati alla criminalità organizzata. Parliamo ovviamente solo dei casi più clamorosi scoperti dalle forze dell’ordine, ma è probabile che la realtà sommersa sia assai più ampia, con un danno erariale di milioni di euro.
La famiglia del killer di Livatino fa parte di una galassia di disonestà che le Fiamme gialle di Agrigento e Siracusa hanno smascherato, sequestrando svariate social card e denunciando i responsabili per truffa; i loro nomi sono stati contestualmente segnalati all’Inps per la revoca e il recupero del «beneficio economico», pari a oltre 200mila euro.
Il reddito di cittadinanza dovrebbe essere concesso solo in presenza di alcuni requisiti autocertificati, ma che lo Stato ha il dovere di verificare: tra questi, oltre alle difficoltà economiche, anche l’assenza di misure cautelari personali o di condanne per reati gravi sia da parte di chi richiede il reddito di cittadinanza che da parte dei componenti del suo nucleo familiare.
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