L’emergenza sanitaria, causata dalla diffusione dell’agente virale Sars Cov 2, e le misure di contenimento restrittive hanno portato ad un clima di crescente malessere e tensione non solo tra i cittadini, ma anche all’interno delle categorie economiche e produttive del Paese. Purtroppo, in alcuni casi, si é addirittura arrivati a forme di violenza che vanno sempre e comunque condannate. Tuttavia, non tutti ritengono che quanto venga quotidianamente riportato dalle autoritá e dai media corrisponda al vero, giungendo non a negare, come in modo volutamente semplicistico si ritiene, ma piuttosto a mettere in discussione “la narrazione” ufficiale della pandemia.
Sul punto alcune brevi osservazioni:
1) il concetto di “negazionismo” é linguisticamente errato. Questo, infatti, presuppone una lettura univoca dei dati dell’epidemia con la conseguenza che l’unica scientificamente attendibile sia quella proveniente dalla stampa e dalle istituzioni che, peraltro, a volte si contraddicono pure (si vedano le dichiarazioni di Arcuri sulla pressione nelle terapie intensive).
La scienza, peró, come insegnava Popper, é sottoposta al principio della falsificabilitá e, come tale, non puó ammettere una sola chiave interpretativa. Questo non significa negare il virus, né purtroppo i decessi, ma semplicemente leggere in modo diverso i fatti (il calcolo dei positivi) o avere, su alcune misure di contenimento, legittime perplessitá sia per la loro effettiva utilitá, sia per la loro efficacia. Del resto, il “pollaio” quotidiano di virologi, microbiologi e infettivologi lo dimostra in modo inequivocabile;
2) quandanche si arrivasse ad un vero e proprio negazionismo, quale conseguenza di un “dubbio iperbolico” di cartesiana memoria, questo sarebbe comunque compreso nella sfera di tutela dell’art. 21 della Costituzione repubblicana vigente il quale prevede il diritto di libertá di manifestazione del pensiero con lo scritto, la parola ed ogni altro mezzo di diffusione.
Solo se si dovesse perfezionare il reato di istigazione a disobbedire a leggi di ordine pubblico, di cui all’art. 415 del Codice penale italiano, si potrebbe rinvenire una condotta penale rilevante: ad esempio in occasione di manifestazioni pubbliche. In questo caso si dovrá dimostrare il dolo generico (minoritaria é rimasta la dottrina che considera necessario il dolo specifico), ossia la coscienza e la volontá del soggetto agente di porre in essere l’atto istigatorio. Oppure qualora si verifichi la fattispecie penale dell’art. 414 c.p. che punisce chiunque istighi a commettere uno o piú reati per il solo fatto dell’istigazione. Sará necessario provare che, per il suo contenuto intrinseco, per la condizione personale dell’autore e per le circostanze di fatto in cui si esplica, l’istigazione é “effettivamente idonea a determinare il rischio concreto della commissione di altri reati” (cfr. Cass. pen. sez. II, sentenza 08 giugno 2018, n. 26315).
Davvero il riduzionismo linguistico di una certa stampa (fortunatamente non tutta) dimostra scarsa intelligenza, ma, almeno su questo, non vi é alcun dubbio.
Prof. Daniele Trabucco – Associato di Diritto Costituzionale Comparato e Dottrina dello Stato