di Jimmy Milanese – – Sono stati condannati rispettivamente a quattro e sei anni di reclusione per avere pianificato attività di reclutamento volte a compiere azioni terroristiche internazionali a matrice jihadista tra il 2010 e il 2015 e uno di loro la guerra santa è andata perfino a farla in Siria, ma a distanza di nemmeno cinque anni entrambi sono formalmente liberi.
Ma c’è di più, perché il decreto di espulsione che li avrebbe obbligati a lasciare il paese – magari per sempre – è stato recentemente trasformato in autorizzazione a restare sul territorio italiano, seppur sotto vigilanza. I due sono Abdul Rahman Nauroz e Eldin Hodza, entrambi residenti in Alto Adige a Merano, dove esattamente all’alba del 12 novembre del 2015 i Carabinieri del Ros di Trento eseguivano una serie di ordinanze d’arresto disposte dal Tribunale di Roma tese a smantellare l’organizzazione sovranazionale “Rawti Shax” la quale, facente capo al Mullah Krekar, aveva la base operativa a Merano.
Diciassette gli ordini internazionali d’arresto, sette dei quali eseguiti tra Merano e Bolzano. L’organizzazione rispondeva a Faraj Krekar, mullah di origini irachene il quale di terrorismo internazionale evidentemente se ne intendeva, vista la sua precedente appartenenza a Ansar Al Islam. Secondo un rapporto del Consiglio Superiore delle Nazioni Unite del 2010, l’organizzazione di Krekar era considerata vicina a Osama Bin Laden. Krekar, arrivato in Norvegia grazie a un permesso di soggiorno come rifugiato e già detenuto ad Oslo per il suo attivismo jihadista, risulta ora estradato in Italia e rinchiuso a Rebibbia, in seguito a una condanna a dodici anni inflittagli dalla Corte d’Assise di Bolzano proprio per la costituzione della organizzazione Rawti Shax.
L’organizzazione con base logistica a Merano aveva creato una serie di cellule jihadiste in Norvegia, Germania, Inghilterra, Svizzera, Grecia, Finlandia, Iraq e, appunto, Alto Adige. Se con questa ennesima condanna a Krekar non sembra andare troppo bene, molto meglio però sta andando ai suoi due affiliati che dalle abitazioni nel pieno centro della cittadina famosa per i suoi mercatini ideavano e pianificavano la loro guerra santa. Abdul Rahman Nauroz era considerato il numero due dell’organizzazione, condannato a quattro anni di reclusione sulla base delle numerose intercettazioni ad opera dei Ros di Trento nel corso della quali è emerso come la sua abitazione fungesse da base logistica per gli islamisti che da tutt’Europa gli facevano visita. Destinatario di assegno sociale, abitazione pagata direttamente dal Comune di Merano, Nauroz si trova ora detenuto nel carcere di massima sicurezza di Rossano Calabrese ma, si badi bene, non già per quella condanna per terrorismo jihadista, piuttosto, per una pena residua in relazione a una tentata rapina compiuta nel capoluogo altoatesino.
«Il mio cliente si è sempre professato innocente, attualmente è detenuto per altra pena residua nella sezione islamica del carcere calabro dove sono rinchiuse solo persone condannate per terrorismo jihadista, anche se personalmente non credo che aver costituito una sezione di questo tipo sia da aiuto al processo di deradicalizzazione dei detenuti», spiega Simone Bergamini, legale di Nauroz.
Ancora meglio è andata al kosovaro Eldin Hodza, attualmente in stato di libertà ma condannato dalla Corte d’Assise di Bolzano per essere andato in Siria nel gennaio del 2015 a combattere nelle file dell’Isis. Inserito nell’organizzazione terroristica quadeista dello Stato Islamico del Levante operante in Siria, dopo aver partecipato ad alcuni scontri, Hodza è tornato in Italia dove ha sempre mantenuto i collegamenti con i gruppi operativi I.S. e al Nusra con i quali si è riattivato nell’ottobre del 2014 al fine di consentirgli il ritorno in Siria per partecipare ad attività terroristiche. E’ proprio dalle numerose intercettazioni delle sue utenze telefoniche che gli inquirenti sono risusciti a ricostruire la matrice sovranazionale dell’organizzazione che per comunicare utilizzava sofisticate apparecchiature elettroniche. Ad ogni modo, dopo avere scontato nemmeno metà dei quattro anni di penda detentiva, Hodza se ne è tornato in Kosovo, non certo perché costretto da un decreto di espulsione. Infatti, spiega l’avvocato Bergamini, per Nauroz ma anche per Hodza: «il decreto di espulsione è stato trasformato in permesso di soggiorno condizionato però dall’obbligo di vigilanza». Quindi, se il kosovaro, già arrestato e condannato per resistenza a pubblico ufficiale nel 2007, su consiglio del suo avvocato ha deciso di trasferirsi per ora in Kosovo, a breve Nauroz potrebbe ritornare nella città che gli ha garantito un assegno sociale, una abitazione pagata dal Comune e la possibilità di pianificare la sua guerra santa, ma dopo essere stato in contatto per quattro anni con i peggiori terroristi islamici che il nostro paese è riuscito ad arrestare.
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