“Sacrificare la libertà per la sicurezza è un grave errore del nostro tempo”. La pensano così lo psichiatra e criminologo Alessandro Meluzzi e il giornalista cattolico Maurizio Scandurra che riflettono con l’Adnkronos sulla crisi della cultura e dell’intrattenimento dopo il primo lockdown e, soprattutto ora, che il comparto sta vivendo il secondo stop delle attività.
“La prima considerazione è che la cultura non è un fattore accessorio nella vita delle società e dei gruppi umani – dice Meluzzi – E’ indispensabile almeno quanto la coltura, quella dell’agricoltura da cui si producono i beni materiali. Perdendo la dimensione della creatività, del loisir, della bellezza non solo scema quel paradigma dostoevskiano per cui ‘solo la bellezza salverà il mondo’, ma anche la considerazione assolutamente indispensabile dell’uomo come ‘zoon politikon’, animale politico che non può vivere senza gli altri” osserva il Professore.
“Come ha affermato il Presidente della Corte Costituzionale in una dichiarazione che probabilmente vorrebbe soprattutto giustificare la limitazione dei diritti di libertà individuali, esiste pure una dimensione solidale della realtà accanto alla solidarietà della virologia e della protezione della semplicità individuale e collettiva. E si realizza – argomenta il criminologo – quando alle persone viene concesso l’aspetto della convivialità della vita insieme alla facoltà conversazionale dell’incontro con il prossimo attraverso il dialogo e la possibilità di esprimersi lanciando messaggi agli altri, perché l’uomo non può vivere senza comunicazione“.
E per Meluzzi la “più alta forma di comunicazione è quella che si concretizza giustappunto nella dimensione delle scienze comunicative tramite le arti visuali, la musica, il teatro e tutte le attività creative parte di una condizione inalienabile dell’umano“.
“Pensare di dover sempre sacrificare il valore della libertà a quello della sicurezza – ribadisce l’accademico – è uno dei grandi errori della nostra epoca che nell’attuale dimensione virologica ha toccato il suo apice. Ma poiché questo calcolo statistico dei vantaggi verso gli svantaggi non sarà mai possibile, certamente è legittimo affermare che sacrificare la cultura prima di ogni altra cosa, esattamente come nei mesi scorsi si è deciso di fare con la religione prima dei supermercati, è una dimensione unilaterale che ritengo plasmi una gerarchia artificiale a mio giudizio non giustificabile tra i valori dell’antropico”.
Scandurra è sulla stessa lunghezza d’onda, ma analizza in particolare l’impatto delle misure di restrizione su imprese e lavoratori dello spettacolo. “La ‘chiusura’ dell’Italia alle 18 e il possibile lockdown totale dal 9 novembre sono un colpo d’ascia mortale sulle gambe di un claudicante – avverte – Musica, cinema, sagre e fiere subiscono il secondo due a zero con la pandemia. Quel poco visto in estate non vale neanche il 10% delle perdite del settore”, entra nel merito Scandurra approfondendo il tema sollevato dal maestro Riccardo Muti nell’appello rivolto al Premier Giuseppe Conte in difesa della cultura.
“Le misure adottate dal decreto ‘Cura-Italia’ fino all’ultimo Dpcm – osserva Scandurra – sono inadeguate a preservare gli invisibili dello showbusiness: chi lavora dietro le quinte paga il prezzo più alto. Complice l’assenza di una contrattualistica del lavoro e di un sistema previdenziale idonei a garantire serie tutele già in tempi normali”.
Per l’esperto “lo stop preserale della ristorazione azzera l’ampio micromondo del sommerso fatto di pianobar, cabaret, artisti di strada, animatori e dj-set: pane quotidiano per molti, spesso un secondo lavoro per sopravvivere per tanti. Mentre i grandi della musica contano su investimenti e patrimoni consolidati grazie a cachet corposi, diritti d’autore, royalties e pensioni Siae degne di tal nome”.
Scandurra si domanda anche perché in Italia salti “tutto tranne musei e Sanremo 2021. Seppur in calendario dal 2 al 6 marzo prossimi, dubito – riflette – che un quadrimestre basti a mutare un simile scenario. Ma sono ‘Sanremo’ anche la ‘Fiera Nazionale del Tartufo’ a Montiglio Monferrato, ‘Ecomondo’ a Rimini o il ‘Music Factory’ di Gardolo nel Trentino. Alias, tutte le manifestazioni di punta di ogni territorio fonti di reddito e occupazione per l’indotto, costrette invece a un forzato dietrofront a danno di sindaci, abitanti, commercianti e turisti”.
(di Veronica Marino – ADNKRONOS)