di Antonio Amorosi – – Un nuovo lockdown in Italia costerebbe alla nostra economia 671 miliardi di euro (475 miliardi nel 2020+196 nel 2021). Denaro sonante, immediato e non promesse come il Recovery Fund della Ue (che se arriva lo fa in 6 anni ed è un debito da ripianare). Lo mostra uno studio di Cerved, agenzia di analisi e rating, che per l’Anci, l’associazione dei Comuni italiani, ha monitorato l’andamento di oltre 1.600 settori produttivi.
Cerved, a inizio estate, ha ipotizzato due scenari possibili: il primo soft, cioè senza un secondo lockdown, prevede una recessione prolungata e una lenta ripresa, e uno hard, con un altro lockdown a fine 2020. In queste ore, dato l’aumento radicale dei contagi, la Francia si sta traghettando verso un possibile lockdown.
Il secondo scenario con molta probabilità potrebbe dare perdite strutturali all’Italia. Il dato economico ovviamente non è solo il frutto del secondo lockdown ma va a sommarsi agli effetti nefasti del primo durante l’ondata di febbraio-marzo. Nel 2021 perderemo comunque, con qualsiasi dei due scenari, 161 miliardi con quello soft o 196 miliardi con l’hard.
Intanto in Italia con la condizione di semicoprifuoco, imposta dal governo Conte, chi paga sono i settori più fragili e senza rappresentanza: i ristoratori, i bar, gli esercenti, i gestori di palestre, tutto il mondo culturale, cinema e teatri e coloro che vi lavorano o ne sono fornitori. La scelta non sembra frutto di un piano antipandemico, altrimenti perché chiudere i teatri e tenere aperte le chiese? Chiudere i bar, le osterie e i cinema e tenere aperti i musei o continuare a vedere ogni giorno i mezzi pubblici e dello Stato, autobus, metropolitane, treni zeppi di gente assembrata?
Per adesso pagano i settori più deboli perché non hanno voce e peso politico nella contrattazione col governo. “La Conferenza Episcopale Italiana ha un potere contrattuale maggiore del sistema teatrale; mentre i musei, a differenza dei cinema, hanno dipendenti pubblici a cui i sindacati difendono il diritto di mantenere un reddito”, ha spiegato l’attore bolognese Riccardo Paccosi, “sarebbe bene che i lavoratori garantiti dimostrassero un po’ più di empatia verso chi si ritrova disoccupato anziché pontificare ‘restate a casa’ col culo degli altri”.
Ciò che è certo è che con questo scenario cambia il modo di vivere e il funzionamento dei settori produttivi.
In Italia con un secondo lockdown crolleranno i cinema (-80,0% del fatturato), i trasporti aerei (-60,8%), le agenzia di viaggi e i tour operator (-55,0%), gli alberghi (-52,9%), i trasporti locali (-52,5%), gli organizzatori di fiere e convegni (-50,4%), la ristorazione (-50,3%), taxi e noleggio auto (-50,0%), i gestori dei parcheggi (-50,0%). Ma c’è anche chi cresce come il commercio on line (+40,0%), chi si occupa di respiratori artificiali (+19,5%), chi fabbrica vetri protettivi per laboratori e farmacie (+15,0%), chi realizza il vestiario protettivo (+14,4%), tessuti e non tessuti tecnici industriali (+13,8%), specialità farmaceutiche (+13,5%), supermercati (+12,3%), chi fabbrica casse funebri (+12,0%), materie farmaceutiche (+10,1%), commercio al dettaglio e prodotti surgelati (+8,2%).
Per Cerved le 14 città metropolitane italiane potrebbero subire, nel prossimo biennio, una perdita di fatturato di 320 miliardi di euro. A risentire delle conseguenze più forti nel 2020 Torino, Venezia, Messina, Napoli, Palermo, Genova e Cagliari.
Milano potrebbe, in termini assoluti, vedersi ridotto il fatturato di 97,6 miliardi di euro, mentre Roma di 82,4 mld, con Venezia che pagherebbe una contrazione sul fronte occupazione del 42,6%.
Nei centri urbani medio-piccoli le più colpite a livello percentuale sono Potenza, Chieti e Campobasso mentre Brescia, Verona e Bergamo lo sono per valori assoluti. Latina, Imperia e Parma, avendo dei settori farmaceutici e agroalimentari forti trarranno benefici da questa fase. Prato e la Toscana invece avranno la concentrazione delle imprese con maggiore crisi di liquidità. Avranno sempre più campo libero le mafie? A voi la risposta.