di Maurizio Scandurra – Essere profeti, caro Professor Alessandro Meluzzi, è un triste destino. Lo dico da credente. Il peggiore che possa capitare, specie se si è portatori sani di verità. In particolar modo nell’epoca del battibecco mediatico che si fa odio, violenza, insulto sterile. Perché il potere tende a difendere sé stesso, la casta punto e basta.
Per un post su Twitter su cui ha dato sin da subito spontaneamente chiare e oggettive spiegazioni, si è scatenato il finimondo.
Tutti i suoi haters, in primis certa stampa da intellighenzia spicciola finto-borghese, non vedevano l’ora di sentirsi legittimati a colpirLa – si fa per dire, delicatamente – con malizie linguistiche raffinate per screditare e sminuire, senza peraltro riuscirvi, ciò che Lei di fatto è: un libero pensatore. Un intellettuale e accademico brillante, schietto, innamorato dell’Italia, della fede e degli italiani. Un uomo di cultura. Uno scrittore e un professionista avanguardista dalla logica rapace capace di cogliere all’istante connessioni e sinergie come pochissimi altri nell’età contemporanea.
E’ altresì fuor di dubbio che la Sua competenza, proprietà di linguaggio e mastodontica conoscenza della storia dello scibile umano di oggi e di ieri in ogni anche più piccola ma preziosa componente, la profondità di analisi e introspezione, l’impareggiabile dialettica possano dar fastidio a chi passa invece le giornate a pontificare, additare e imputare per guadagnarsi uno straccio di stipendio. Come tutti i poveretti di cui sopra.
Ebbene, tra tutta questa gente, che di giornalistico ha forse solo il tesserino, e gli odiatori di internet non v’è nessuna differenza. Parlano senza ascoltare, scrivono senza leggere, blaterano senza andare alla fonte: che, per chi fa il mio mestiere, è un ben preciso dovere deontologico, ancorchè professionale.
Lei, salito suo malgrado sul traballante, fuorviato e fuorviante banco degli imputati del web, chiamato a pronunciarsi sul tema, ha affermato a chiare lettere pubblicamente di non aver creato affatto l’immagine incriminata dell’ingresso di Auschwitz con la scritta mutata, bensì di averla semplicemente ritwittata, come gli insulti che riceve quotidianamente, per favorire a Sua detta la discussione. Il confronto. Il dialogo. Il dibattito.
Vede, caro Professore, il fatto è un altro. Ammesso e anche non concesso che possa pure essersi trattato di un’azione spontanea per attirare l’attenzione (e, anche in quel caso, Le do ancor più platealmente atto altresì del Suo genio di stratega della comunicazione), quel che è grave è che, a parte il popolino stupido della rete, neanche i più esimi cronisti hanno compreso ciò che penso Lei intendesse davvero dire tra le righe.
Non certo denigrare l’abominio dell’Olocausto, né tantomeno offenderne la memoria, ci mancherebbe.
Ma semplicemente che, continuando forsennatamente di questo passo, fra perdita di sovranità politica e monetaria come piace all’Europa delle élites finanziarie ormai padrone del mondo globalizzato e sbarchi incontrollati di gente varia che in vita sua non ha mai fatto una visita medica o un vaccino (mentre noi siamo costretti a distanziamenti, restrizioni d’orario, mascherine e rigidi controlli in un clima da untori e appestati manzoniani), di fronte persino a un Papa Francesco Bergoglio preoccupato più dell’Islam che del cattolicesimo, l’Italia finirà per diventare un lazzeretto.
Un campo di concentramento.
Ove a essere ‘concentrati’, nel senso etimologico di ‘confinati in spazi ristretti’, questa volta, al posto dei malcapitati Ebrei cui doverosamente va tutto il mio rispetto (e, sono certo, anche il Suo), ci saranno i poveri, inconsapevoli Italiani.
E, per giunta, comodamente seduti a casa propria fin tanto che dura.
Intelligenti pauca. Roma antica docet.
Maurizio Scandurra – giornalista e saggista cattolico