di Leone Grotti – – Lo scriviamo ormai tutti gli anni: il Consiglio Onu per i diritti umani è poco più che una farsa. Al suo interno, infatti, vengono spesso nominati alcuni tra i peggiori regimi al mondo che dei diritti umani si occupano soltanto quando c’è da reprimerli. L’anno scorso, ad esempio, era stato eletto il Venezuela di Nicolas Maduro nonostante un rapporto del 2019 dello stesso Consiglio Onu avesse denunciato alcune abitudini del governo di Caracas che poco hanno a che vedere con la missione dell’organismo: torture degli oppositori, omicidi extragiudiziali, arresti indiscriminati.
I “DIFENSORI” DEI DIRITTI UMANI– – Sempre l’anno scorso è entrata per tre anni nel Consiglio Onu l’Eritrea, definita spesso la “Corea del Nord africana”. In dieci anni, tanto per far capire l’orientamento dell’organismo che gli Stati Uniti di Donald Trump hanno giustamente deciso di abbandonare, Israele è stato condannato 68 volte, 20 volte la Siria, 9 la Corea del Nord, 6 l’Iran e mai Venezuela, Arabia Saudita o Cina.
Non c’è da sorprendersi dunque se alla 75esima Assemblea generale delle Nazioni Unite a Ginevra la Cina è stata eletta di nuovo tra i 47 paesi che dovranno difendere i diritti umani nel mondo nel prossimo triennio, in quanto a detta dell’Onu possiede «i più alti standard nella promozione e protezione dei diritti umani». Quest’anno però ci sono anche delle (parziali) buone notizie.
PECHINO PERDE PER STRADA 54 VOTI – – La Cina, che può sempre contare sui voti favorevoli di decine di paesi africani e asiatici che tiene in pugno grazie a ricchi investimenti (prima o poi il conto si paga sempre), aveva già ottenuto un seggio nel 2006, 2009, 2013 e 2016. Se però nel 2016 aveva ricevuto ben 193 preferenze, quest’anno ne ha racimolate appena 139, 11 in meno del Nepal. Secondo Sophie Richardson, a capo della divisione di Human Rights Watch che si occupa di Cina, «è un calo significativo, incredibilmente imbarazzante per Pechino. Chissà spiegheranno questa emorragia di sostegno».
La scorsa settimana, Germania e Regno Unito hanno guidato un gruppo di 39 paesi, tra i quali anche l’Italia, che hanno condannato all’Onu le politiche del governo comunista nello Xinjiang, dove almeno 1,8 milioni di uiguri sono stati rinchiusi a partire dall’aprile 2017 in campi di rieducazione attraverso il lavoro. Una risoluzione simile, nel 2019, ricevette l’appoggio di appena 23 paesi (e tra questi non c’era l’Italia).
L’ARABIA SAUDITA RESTA FUORI – – La seconda buona notizia, insieme al calo di consensi verso la Cina, è che l’Arabia Saudita non è riuscita a conquistare un seggio, arrivando dietro al Dragone, Nepal, Pakistan e Uzbekistan. Nel 2016 Riyad aveva addirittura conquistato la presidenza di turno del Consiglio Onu nonostante le numerose violazioni dei diritti umani: dal trattamento delle donne a quello dei non musulmani, dalla violazione della libertà religiosa alla negazione della libertà di espressione, dallo sfruttamento disumano dei migranti per lavoro al trattamento riservato agli omosessuali, per non parlare della rigidissima applicazione della sharia (crocifissioni incluse).
Come detto, il Consiglio Onu per i diritti umani resta una farsa. Qualcosa però, se pur lentamente, si muove.