di Antonio Amorosi – – Cosa si nasconde nella sanità campana tanto da imporre un forzato silenzio stampa ai professionisti in prima linea? La regione è in questo momento, almeno sulla carta, il territorio italiano con più contagiati da Coronoavirus. Parte oggi il primo di due brevi approfondimenti-intervista a dirigenti medici della Campania. Il governatore Vincenzo De Luca ha vietato ai medici pubblici locali di parlare con i giornalisti. Ma noi abbiamo intervistato il dottor Pierino Di Silverio, dirigente medico presso l’Azienda ospedaliera dei Colli Monaldi di Napoli e responsabile nazionale giovani di Anaao-Assomed, associazione di dirigenti e medici.
Dottor Di Silverio molti hanno scritto che le terapie intensive campane siano piene…
“No, non è vero. Sono vicino al collasso i reparti di degenza e di subintensiva, cioè quei reparti che accolgono soggetti che non hanno necessità di essere ricoverati in terapia intensiva. Questa seconda ondata non sta provocando la gravità sintomatologia dello scorso inverno. Il quadro di complicanze che poi porta all’aggravarsi del paziente è sensibilmente minore”.
Qual è il problema allora?
“Il rapporto posti letto numero di medici. In Italia il decreto che indica quanti posti letto per 1000 abitanti devono esserci ci dice che devono essere 3,7 posti letto per ogni 1000 abitanti, di cui 0,7 destinati alla riabilitazione. In Campania questo rapporto non è mai stato rispettato, siamo intorno al 2,2-2,4 per 1000 abitanti. Non abbiamo posti letto”.
Quante terapie intensive ci sono in Campania?
“Erano 480 in epoca pre-Covid e sono state implementate con altri posti, grazie ai decreti governativi, posti che poi sono stati riconvertiti vista la riduzione della necessità”.
Su questi 480 posti reali, percentualmente, quanti sono occupati da pazienti che hanno il Covid?
“Il 20%”.
E qual è il dato allarmante allora?
“E’ la lungo degenza. Mi spiego: quando un paziente viene ricoverato in reparto per Covid, non in terapia intensiva ma in reparto, non ci sta 2 giorni ma un tempo relativamente lungo”.
Quindi la mancanza di un numero adeguato di posti letto viene a farsi sentire ancora di più?
“Beh, certo. Poi c’è in più una mancanza di medici e di posti in terapia intensiva che noi denunciavamo da anni. Ma su questo fronte il governo è sempre stato sordo. Nella seconda ondata si rende manifesta la situazione generale grave perché c’è un problema di suddivisione delle risorse”.
Alla Campania arrivano meno risorse economiche e quindi…
“Rispetto alle regioni benchmark (Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna, ndr) ogni anni ci arrivano di media 70-80 milioni di euro in meno e perdiamo anche 350 milioni di euro all’anno per la mobilità passiva (il denaro che si paga per compensare le prestazioni sanitarie erogate ai propri assistiti ma che vanno a curarsi in altre regioni, ndr) che è una conseguenza delle mancanza di fondi. Se non ho fondi come posso assicurare cure all’altezza? E avrò sempre liste di attese lunghe. Così il cittadino va a curarsi fuori. Ma in queste condizioni si può fare ben poco. I medici fanno quel che possono in mancanza di mezzi”.
Come si esce da questo gap?
“L’età media della popolazione ci penalizza perché uno degli indici per la distribuzione delle risorse è l’anzianità della popolazione regionale e noi campani abbiamo una popolazione molto giovane. Non sarebbe meglio introdurre un indice di deprivazione sociale? E dire: la regione che sta peggio con i suoi cittadini dovrebbe avere delle risorse aggiuntive per recuperare il gap”.
Non ci sono anche dinamiche clientelari che limitano lo sviluppo della regione in un’altra direzione?
“No, non in modo particolare… voglio dire… le dinamiche clientelari sono un po’ nel dna di questo Paese che invece di dar spazio al merito preferisce sempre dar spazio a…”
All’appartenenza…politica…
“Eh si. Questo è un sistema che è molto diffuso nel Paese. Ma rispetto a 10 anni or sono, quando comprendevamo tutte le fasce lavorative, oggi queste dinamiche si concentrano probabilmente sulle fasce lavorative alte. Sono diffuse ma non penso siano la causa delle difficoltà in cui viviamo”.
Cosa pensa il cittadino campano?
“L’utenza vive il disagio dell’impossibilità di accedere alle cure. Se io cittadino devo fare una Tac e devo aspettare 3 mesi o la faccio nel privato o me ne devo andare fuori regione. Stessa cosa accade se per fare un intervento chirurgico devo aspettare 5 mesi. Questo è il problema principale ed è dovuto ad un’assenza di infrastrutture e di personale”.
Cosa avete imparato dall’epoca Covid?
“Tante cosa ma sul fronte strutture che oggi siamo in grado di convertirle in maniera più agevole tra terapia intensiva e degenza ordinaria”.