Suicida a 11 anni per gioco social, Meluzzi: giovani non distinguono più tra reale e virtuale


Radio Radio Tv

Tanti i casi di cronaca nera che stanno occupando le pagine dei giornali in questi giorni. Dall’assassinio di Willy, alle sentenze sul caso Vannini, dal suicidio di un undicenne per un gioco #social all#’omicidio della coppia di Lecce. Delitti che hanno colpito l’opinione pubblica per la loro crudeltà e inspiegabilità. Per capire cause e motivazioni che spingono certi comportamenti , Radio Radio Tv ha intervistato il Prof. Meluzzi, psichiatra e criminologo. Ecco cosa ha detto a ‘Lavori in Corso’.

La sentenza sul caso Vannini
“Questa sentenza restituisce un po’ di giustizia alla famiglia e al morto. Giustamente la Corte d’assise d’appello ha posto rimedio ad una ingiustizia che era stata fatta con le prime due sentenze. Ha prevalso il buon senso. La mia opinione sul caso? Io direi che Antonio Ciontoli ha tentato una ricostruzione di eventi che probabilmente non sono stati neanche quelli per cui è stato condannato. La mia sensazione è che la sua sia stata una condotta di copertura nei confronti di terzi”.

Il suicidio del ragazzo di 11 anni facendo un gioco sul web
“Tra gli aspetti più ambigui, più inquietanti, di una società ad altissimo livello di distanziamento, di virtualizzazione, di smart working e di disincarnazione delle emozioni tra gli effetti possibili ci sono anche questi. Cioè il fatto di cominciare a confondere nella profondità della mente – soprattutto in quelle più giovani – la realtà fisica con quella virtuale. Così come ci sono le crisi epilettiche da giochi virtuali in rete, ci sono anche dei rischi nel confondere la realtà con il gioco, con la dimensione dell’irreale dello schermo di uno smartphone con la realtà.

Il fatto che si venga coinvolti in un gioco fino a dover subire l’ordine di morire e di suicidarsi è chiaro che è il risultato di una derealizzazione patologica che non ha trovata dei contrappesi nelle relazioni reali: genitori assenti, fratelli assenti, amici assenti.