Non una redistribuzione obbligatoria, ma un sistema in cui i Paesi membri dell’Unione europea possano scegliere se ricollocare i richiedenti asilo o pagare per rimpatriare chi sicuramente non ha diritto a rimanere su suolo dell’Ue. Sono questi i principali pilastri su cui si basa il nuovo Patto per la migrazione e l’asilo presentato oggi dalla Commissione europea. Una proposta che, di fatto, sposta l’asse dell’approccio alla questione dai ricollocamenti all’interno dell’Ue ai rimpatri nei paesi terzi.
Fra le altre questioni dirimenti, il nuovo Patto prevede controlli obbligatori in tutti i punti di accesso all’Unione europea; un rafforzamento delle partnership con i paesi di origine e di transito; e pratiche più veloci per chi arriva da paesi con un basso tasso di riconoscimento. Il primo passaggio è quello relativo agli arrivi. A questo proposito, la commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson, ha spiegato che ci sarà uno screening obbligatorio in tutti i punti di accesso all’Ue e che questo iter dovrà durare al massimo cinque giorni.
Il secondo è quello relativo ai rimpatri e ai ricollocamenti. Il sistema delineato dal nuovo Patto si basa non su ricollocamenti obbligatori, ma sulla scelta dei singoli Stati membri di come mostrare solidarietà a chi è più sotto stress. Per questo, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha sottolineato che il punto non è più “se i paesi dell’Ue mostreranno solidarietà, ma come la mostreranno”.
Tre sono gli scenari possibili, secondo l’esecutivo europeo. Quello degli sbarchi, quello di situazioni di pressione su uno Stato membro, quello delle crisi come quella del 2015 conseguente alla guerra in Siria. Di fatto, se uno Stato membro si trova in una di queste situazioni, potrà chiedere alla Commissione europea di attivare il meccanismo di solidarietà. La Commissione valuterà la richiesta avanzata da quello Stato e deciderà l’attivazione del meccanismo e stabilirà quante persone devono essere ridistribuite in altri Stati membri per aiutare il paese richiedente. Il ricollocamento viene definito rispetto a delle percentuali in base al Pil (50 per cento) e alla popolazione (50 per cento) di ogni paese. Ma, non essendo obbligatorio, gli Stati membri potranno scegliere fra tre strade: ricollocare nel proprio territorio, secondo delle quote, i migranti irregolari che richiedono asilo e che sono arrivati nel paese che ha chiesto solidarietà; prendersi la responsabilità economica del rimpatrio, la sponsorizzazione dei rimpatri, di quanti è stato accertato che non hanno diritto alla protezione internazionale; dare un contributo finanziario o di altro genere, come inviare guardie di frontiera. Chi ha optato per la sponsorizzazione dei rimpatri, ha otto mesi di tempo per farlo. Se non riesce, dopo 8 mesi, dovrà ricollocare sul proprio territorio i migranti. Agenzia Nova
Diventa cosi lecito NO ALLA OSPITALITA’ OBBLIGATORIA