Don Roberto Malgesini: martire, non complice

Vittorio Zedda – – Per me non c’è e non c’era alcun dubbio: martire, nonché testimone di carità cristiana. Leggo, però, su alcuni organi di stampa opinioni di diverso segno. Pur col dovuto rispetto verso don Roberto Malgesini, che a Como ha pagato con la vita un atto di umanità verso il prossimo, c’è chi sulla stampa o sui social non può far a meno di ricordare che il sacerdote ucciso aveva cercato di aiutare il suo futuro assassino, Mahmoudi Ridha, a restare in Italia, nonostante ben due decreti di espulsione, cui il clandestino tunisino non aveva ottemperato. Orbene chi agevola o protegge un comportamento illegale si rende imputabile di favoreggiamento. E se il personaggio che è stato per qualsiasi motivo protetto si macchia di azioni criminali nel periodo della sua permanenza illegale in Italia, il suo “protettore” può essere imputabile di corresponsabilità più o meno gravi, secondo i casi e i riscontri. Quindi aiutare un clandestino già più volte espulso a restare in Italia potrebbe configurarsi, una volta accertati i fatti, come un illecito di varia gravità o almeno come comportamento potenzialmente pericoloso verso la società e l’ordine pubblico. Da ciò l’accusa di complicità al sacerdote, per giunta vittima.

Prescindendo dal tragico epilogo, peraltro gli argomenti addotti a carico di don Roberto , con discutibili forzature, potrebbero anche apparire vagamente plausibili .Forse don Roberto avrebbe dovuto convincere il clandestino a costituirsi. Non so se l’abbia fatto. Ho letto però che aveva consigliato a Mahmoudi di rivolgersi ad un avvocato. Quindi le due persone di cui si parla presumibilmente avevano preso concordemente in considerazione un percorso di uscita del tunisino da una situazione di illegalità aggravata da reiterazioni di illeciti non precisati. E in ogni caso l’assistenza di un avvocato sarebbe stata necessaria, sia che la polizia avesse catturato il clandestino, sia che lo stesso si fosse deciso a costituirsi.

In ogni caso il probabile tentativo di don Roberto di sostenere il clandestino nel suo percorso di uscita dall’illegalità, seppur in prospettiva attraverso un probabile temporaneo ingresso in carcere, già mi pare attenui o forse annulli la frettolosa accusa di complicità a carico del sacerdote. Ma se anche così non fosse, viene spontaneo chiedersi perché ben due provvedimenti di espulsione non abbiano avuto, almeno il secondo, un’esecuzione coatta da parte della magistratura, tramite la forza pubblica.

Se gli organi dello stato prendono provvedimenti resi reiteratamente inefficaci, la responsabilità, se non la complicità, di tale inefficacia non potrebbe essere eccepibile a carico delle autorità che non hanno esercitato la necessaria vigilanza sul caso in questione? A quanto pare, il decreto di allontanamento della persona indesiderata si concretizza unicamente con la consegna all’espulso del relativo provvedimento scritto. Dopo di che il destinatario del provvedimento, pur in assenza di controlli da parte delle autorità, dovrebbe autonomamente ottemperare al decreto, ma non di rado non ne tiene alcun conto e continua la sua vita da clandestino in Italia, vivendo di espedienti più o meno leciti.

Vedo nell’inefficacia del sistema la causa prima del reiterarsi della condotta illegale che ne consegue. Ragion per cui indirizzerei l’accusa di complicità verso altri soggetti, piuttosto che sul povero don Roberto. Mahmoudi, si desume dalla stampa, viveva a Como da 25 anni, collezionando nel tempo provvedimenti giudiziari relativi a numerosi reati, per nessuno dei quali fra l’altro è mai stata accertata ed emessa una diagnosi di squilibrio mentale-.

E’ diventata ormai una consuetudine, in certi ambienti politici e su alcuni mezzi d’informazione, imputare senza alcun riscontro documentale, un presunto squilibrio mentale connesso ai reati anche sanguinosi commessi da clandestini, specie se provenienti da paesi islamici. Per Mahmoudi è comparsa immediatamente sulla stampa la stessa difesa d’ufficio: pazzia, peraltro mai diagnosticata da alcuno. Dopo aver pugnalato alle spalle e poi sgozzato don Roberto, dice la stampa, l’assassino ha dichiarato alla polizia che il sacerdote era “morto come un cane”, con fredda lucidità scevra di qualsiasi pentimento. Perché l’aveva ucciso? Perché, secondo la cronaca, Mahmoudi imputava al sacerdote di avergli consigliato l’avvocato sbagliato

. “I miei guai sono anche colpa tua”, avrebbe detto l’assassino alla sua vittima mentre la uccideva. Una vittima in cui continuo a non vedere il reato di complicità. Una complicità che vedo in certa politica di governo che continua ad accettare l’ingresso in Italia di clandestini, che hanno eliminato i propri documenti di riconoscimento per rendere più difficile alle autorità italiane la verifica della loro identità nonché dei presunti diritti alla protezione e all’asilo politico o umanitario. E l’uso dei mezzi della Marina e della Guardia Costiera ai fini del traghettamento verso l’Italia di clandestini in avvicinamento alle nostre coste, posto in atto anche in assenza di eventi di naufragio, avvenuti o temuti, fa pensare a complicità che precedono di molto e a ben altro livello quelle presunte e non accertate di don Roberto. Clandestini che vengono fatti sbarcare nei nostri porti e accolti in strutture d’accoglienza dai quali gli “ospiti” fuggono in tutte le direzioni, senza che le autorità mostrino di essere in grado di garantire in modo efficace il controllo di persone che sul nostro territorio avrebbero dovuto essere custodite e vigilate in attesa delle verifiche sui diritti dei singoli all’accoglienza.

Il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nel nostro paese trova origine in responsabilità poste a livello assai più elevato di quello del povero sacerdote, immolato sull’altare della carità cristiana, proprio per mano di un clandestino cui quotidianamente procurava la prima colazione e un alloggio di fortuna. Martire di carità, senza dubbio. E forse, ancor di più, martire delle complicità della politica nella illegalità dilagante ad ogni livello, che angustia i cittadini e uccide innocenti.

(Vittorio Zedda)