L’ex consigliere Luca Palamara, con una memoria depositata nel corso dell’udienza davanti alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura che lo vede sotto processo insieme ad altri cinque ex togati, chiede la rimessione del giudizio alla Sezione Disciplinare della prossima consiliatura.
Palamara “nel formulare istanza di rimessione alle Sezioni Unite del presente giudizio, ritiene di dover sottoporre all’attenzione di codesta Ill.ma Sezione Disciplinare questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 18, comma 4, d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, e dell’art. 45 cod. proc. pen. Dette norme, infatti – si legge nella memoria dell’ex consigliere – appaiono costituzionalmente illegittime nella parte in cui non prevedono che, versando la Sezione Disciplinare in taluno dei casi suscettibili, astrattamente, di giustificare la rimessione del processo, ai sensi, in particolare, della seconda di esse, l’incolpato nel procedimento disciplinare o il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione possano richiedere, alla Corte di Cassazione, la rimessione del giudizio alla Sezione Disciplinare operante nella consiliatura successiva a quella in atto”.
“Ad avviso del sottoscritto la questione suddetta – si legge ancora nella memoria – appare sia rilevante che non manifestamente infondata, così come richiesto dall’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Quanto al primo requisito, non ci si può esimere dal notare come, per un verso, le reiterate prese di posizione di numerosi membri del Csm, taluni persino componenti del collegio chiamato, oggi, a giudicare della responsabilità disciplinare del sottoscritto, sulle vicende relative all’incontro tenutosi, nella notte tra l’8 e il 9 maggio 2019 presso l’Hotel “Champagne” in Roma, nonché, per altro verso, le stesse modalità con cui i “media” risultano esserne venuti a conoscenza, siano tali da integrare quelle situazioni di pregiudizio per “la libera determinazione delle persone che partecipano al processo” e di “legittimo sospetto”, alle quali conferisce rilievo il citato art. 45 cod. proc. pen.”.
“Merita innanzitutto di essere segnalato come l’articolo di stampa che, per primo, ha reso noto lo svolgimento di quell’incontro (si tratta di uno scritto a firma di Carlo Bonini, apparso sul quotidiano “La Repubblica” il 29 maggio 2019 ed intitolato “Il mercato delle toghe: un patto per prendere la Procura di Roma”), nel compiere una particolareggiata ricostruzione dell’accaduto, abbia affermato, in ben due passaggi, che la conoscenza giornalistica di quei fatti deriverebbe da ‘diverse e qualificate fonti del Consiglio Superiore’”, si legge ancora nella memoria.
“Al fine di accertare la veridicità, o meno, di tale circostanza, certamente apprezzabile sotto il profilo dell’esistenza di un “legittimo sospetto”, ai sensi della norma codicistica sopra richiamata, il difensore dello scrivente ha richiesto l’escussione nel presente procedimento, come teste, del Segretario Generale del Csm. In particolare – si legge nella memoria – si è chiesto che il medesimo riferisca sulle verifiche eventualmente disposte per riscontrare se vi sia stata, o meno, tale propalazione verso la carta stampata, condotta suscettibile di integrare, almeno astrattamente, se non il delitto di cui all’art. 326 cod. pen., quantomeno l’illecito disciplinare consistente nella “violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di trattazione” (art. 2, comma 1, lett. u, del d.lgs. n. 109 del 2006), ove fosse stata, in ipotesi, realizzata da appartenenti all’ordine giudiziario”.
“Sul punto, peraltro, non sembra inutile rammentare come già in passato codesto Ill.mo Csm, ed esattamente, nella consiliatura 2010/2014, sia già stato interessato da “fughe di notizie“, con passaggio alla stampa di informazioni relative ad una (in quel caso risalente) vicenda disciplinare che aveva coinvolto magistrato, come il sottoscritto, titolare di funzioni requirenti presso un importante Ufficio di Procura”, si sottolinea nella memoria.
“A far data dal giugno scorso, e fino a poche settimane orsono, non sono mancate vigorose stigmatizzazioni, anche nella sede consiliare, dei fatti oggetto del presente giudizio. Rileva in tale prospettiva, in primo luogo, la posizione espressa da chi, nel plenum straordinario del Csm del 4 giugno 2019, convocato nell’immediatezza di quei fatti, ha affermato che ‘l’unica vicenda (….) assimilabile, sotto più aspetti’, a quella oggi al vaglio di codesta Ill.ma Sezione Disciplinare, fosse stata, in passato, ‘quella dello scandalo P2’, sottolineando come la magistratura italiana seppe trovare, allora, ‘l’orgoglio e il coraggio di una risposta ferma, immediata, rigorosa’, grazie alla quale ‘i magistrati più direttamente coinvolti furono immediatamente destituiti’”, è riportato ancora nella memoria dell’ex consigliere del Csm.
“Non indifferente nel definire il clima (o, forse, il climax) che è destinato ad accompagnare il giudizio a carico del sottoscritto, è il contenuto del documento adottato il 3 luglio scorso da un gruppo della magistratura associata, che, dopo aver stabilito, in assenza di qualsiasi riscontro, un accostamento tra le vicende oggetto del presente procedimento e quelle relative a presunte dichiarazioni rese a Silvio Berlusconi dal defunto Presidente di Sezione di Cassazione, Amedeo Franco, ha sottolineato essere ‘necessario’ che ‘le responsabilità specifiche per i fatti emersi vengano affermate con ponderazione, rigore e fermezza’, come se l’affermazione della responsabilità disciplinare di un incolpato – e non, piuttosto, soltanto l’accertamento della sua eventuale sussistenza – sia l’esito, per l’appunto, “necessitato” del giudizio celebrato nei suoi confronti”, si legge ancora. ADNKRONOS