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Il cosiddetto “patto educativo di corresponsabilità” è stato introdotto con il DPR 235/2007, il quale ha novellato il DPR 249/1998 (“Regolamento recante lo statuto delle studentesse e degli studenti”) inserendo la disposizione di cui all’art. 5 bis, che così recita:
Art. 5-bis (Patto educativo di corresponsabilità).
1. Contestualmente all’iscrizione alla singola istituzione scolastica, è richiesta la sottoscrizione da parte dei genitori e degli studenti di un Patto educativo di corresponsabilità, finalizzato a definire in maniera dettagliata e condivisa diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie.
2. I singoli regolamenti di istituto disciplinano le procedure di sottoscrizione nonché di elaborazione e revisione condivisa, del patto di cui al comma 1.
3. Nell’ambito delle prime due settimane di inizio delle attività didattiche, ciascuna istituzione scolastica pone in essere le iniziative più idonee per le opportune attività di accoglienza dei nuovi studenti, per la presentazione e la condivisione dello statuto delle studentesse e degli studenti, del piano dell’offerta formativa, dei regolamenti di istituto e del patto educativo di corresponsabilità.
La ratio della norma è stata illustrata, nella nota introduttiva al decreto, dall’allora ministro Maria Stella Gelmini: si mira a responsabilizzare studenti e famiglie, chiamandoli a siglare una simbolica alleanza educativa con l’istituzione scolastica, nel tentativo di arginare i fenomeni ingravescenti di bullismo e vandalismo all’interno della scuola.
Il “patto”, dunque, si presenta come un mero accordo morale, una sorta di gentlemen’s agreement – il cui contenuto è rimesso alla discrezionalità del singolo istituto, in omaggio al principio di autonomia scolastica – concepito per rispondere a una emergenza di carattere disciplinare ed esteso poi, in molti casi, a comprendere dichiarazioni di intenti in materia lato sensu educativa.
Nella pratica, si risolve in un orpello più che inutile, dannoso: nel migliore dei casi enfatico, quando replichi cautele già vigenti ad altro titolo nell’ordinamento (generando comunque una indebita confusione tra fonti normative, vere o presunte); ma, qualora introduca novità, esso dà adito facilmente a censure di illegittimità per difetto di base normativa.
Che al “patto” non possa riconnettersi alcun effetto giuridicamente vincolante (visto che fuoriesce da qualunque schema giuridico esistente nell’ordinamento) e, in particolare, non possa rientrare nello schema pattizio in senso proprio (di un accordo di diritto privato) è evidente innanzitutto per il fatto che la scuola è una funzione pubblica di cui il cittadino ha diritto di usufruire in qualità di contribuente: l’erogazione del servizio, che corrisponde a un dovere che la pubblica amministrazione è tenuta ad assolvere attraverso personale retribuito, di certo non può essere subordinata alla collaborazione dell’utente o alla assunzione da parte sua di specifici impegni negoziali. Il diritto costituzionale all’istruzione non è, per sua natura, soggetto a condizioni che ne limitino l’esercizio (art. 34 primo comma Cost.).
In tema di istruzione ed educazione, la Costituzione Italiana riconosce un preciso e distinto ordine di compiti a famiglia e scuola. Alla famiglia spetta la priorità (e la connessa libertà) educativa: i genitori hanno il dovere e il diritto di istruire ed educare i figli (art. 30 primo comma). Lo Stato, dal canto suo, deve predisporre gli strumenti per l’istruzione (e va da sé come una corretta istruzione sia di per se stessa anche educativa) di cui i genitori possono avvalersi, così come possono decidere di provvedere direttamente in autonomia (art. 33). In ogni caso, non vi è spazio per accordi privatistici che limitino l’esercizio di un diritto essenziale costituzionalmente garantito.
Il termine “patto”, che evoca il ricorso a uno strumento negoziale nei rapporti tra scuola, famiglie e studenti, è quindi utilizzato dalla legge in senso atecnico e sovrabbondante. Esso, tuttavia, insieme al termine “corresponsabilità” cui viene abbinato, assume un significato suggestivo e pericolosamente fuorviante quando si modifichi il suo oggetto rispetto a quello storico originario, sì da spostarlo da un orizzonte generico e discorsivo verso un cono d’ombra giuridico, pretesamente obbligatorio e dunque pretesamente sanzionabile.
In concomitanza con lo stato di emergenza, infatti, si è identificato nel “patto” lo strumento ideale – anche perché già diffusamente percepito come familiare e per ciò stesso innocuo – da piegare a nuove esigenze estranee al suo oggetto tipico, in particolare a quelle organizzativo/sanitarie per il contenimento dei contagi da SARS Cov-2.
Attraverso il “patto” – che le singole amministrazioni scolastiche oggi declinano a proprio arbitrio interpretando liberamente il susseguirsi disarticolato di direttive e protocolli delle autorità centrali – si pretenderebbe di impegnare studenti e famiglie ad assumere compiti di vigilanza e presidio sulla propria salute e a rispettare le misure organizzative e igienico-sanitarie predisposte o addirittura in fieri (ovvero, in molti casi, una obbligazione su di un oggetto indeterminato e indeterminabile), con la malcelata intenzione di stabilire una presunzione di colpa in capo al privato “contraente”, sulla falsariga della fattispecie prevista dal secondo comma dell’art. 2054 c.c. (c.d. danno aquiliano): uno schema ovviamente non trasferibile nella disciplina di una funzione pubblica dove le parti, per definizione, lungi dal trovarsi su di un piano di parità, vedrebbero il fruitore versare in una condizione di minorata difesa davanti alla pubblica amministrazione. Alla responsabilità “contrattuale” del privato si contrapporrebbe infatti la sostanziale irresponsabilità della amministrazione, chiamata a rispondere eventualmente solo al proprio superiore gerarchico e non alla controparte.
Il “patto di corresponsabilità”, dunque, non possiede alcuna precisa fisionomia giuridica né può essere forzato ad acquisirla.
A ulteriore conferma del fatto che pretenderne la firma e ritenerlo impegnativo per i sottoscrittori si traduce in uno stravolgimento dei fondamentali principi del diritto, foriero di abusi e non privo di intollerabili profili ricattatori, valgano, ad abundantiam, i seguenti argomenti:
– Nel “patto” è coinvolto anche il minore il quale però, per legge incapace di agire (art. 2 c.c.), non può stipulare alcun valido accordo.
– Il “patto” consiste, di fatto, in un documento predisposto unilateralmente dalla istituzione scolastica e presentato alle famiglie per la sottoscrizione sic et simpliciter: sarebbe dunque strutturalmente assimilabile alla categoria dei contratti per adesione (o di serie) la cui disciplina privatistica, essendo elusa la fase delle trattative tra i contraenti, è rigorosamente ispirata dal legislatore al principio di tutela del contraente debole. Nel caso in questione la asimmetria tra le parti risulterebbe ulteriormente quanto inaccettabilmente aggravata dalla natura ibrida (privatistico-amministrativa) del rapporto con la relativa concentrazione di potere in capo alla pubblica amministrazione.
– Le «procedure di elaborazione e revisione condivisa» del “patto” (secondo comma dell’art. 5 bis DPR 235/2007) attraverso l’eventuale coinvolgimento degli organi collegiali rappresentano un paravento democratico meramente cosmetico, del tutto inidoneo a compensare la sperequazione tra le posizioni delle parti: si tratta cioè di una fictio rappresentativa perché la materia de quo fuoriesce dagli ambiti di esercizio della autonomia negoziale e dai limiti di disponibilità delle posizioni giuridiche in gioco.
– La figura giuridica dell’obbligo a contrarre – del tutto impensabile qualora sia funzionale a limitare l’accesso a un servizio pubblico fondamentale – è vista in ogni caso con sfavore dal legislatore: non per nulla rappresenta una eccezione nell’ordinamento, non estensibile in via analogica, proprio perché costituisce un limite alla libertà negoziale e alla libertà individuale tout court.
– Per quanto riguarda in particolare la richiesta di autocertificazioni che, in qualsiasi modo, facciano riferimento allo stato di salute proprio o altrui, è dirimente l’espresso divieto posto dal DPR 445/2000 (da un lato, all’art. 46 del decreto, sono elencati in via tassativa gli «stati, qualità personali e fatti» suscettibili di essere comprovati con dichiarazioni sostitutive sottoscritte dall’interessato; dall’altro lato, al successivo art. 49, viene esclusa espressamente la sostituibilità con altro documento di certificati medici e sanitari).
In conclusione, è evidente come i cosiddetti “patti di corresponsabilità” – predisposti secondo criteri del tutto arbitrari e per giunta soggetti ad aggiornamenti e modifiche unilaterali – non possiedano né la rilevanza né la giustificazione giuridica che si pretenderebbe di attribuire loro; ma è altresì evidente il rischio concreto che questa irrilevanza e mancanza di giustificazione non costituiscano alcun ostacolo ad un uso spregiudicato del diritto, nel disprezzo dei suoi principi fondamentali e di ogni etica politica. Fino all’abuso conclamato, quanto pericolosamente “contagioso”, di negare l’accesso a scuola agli studenti le cui famiglie non intendano apporre la propria sottoscrizione.
Per tutti i motivi esposti, non intendiamo sottoscrivere il patto di corresponsabilità né alcun altro documento che, sotto diverso nome, persegua i medesimi scopi. Ci riserviamo di agire nelle sedi opportune per far valere i nostri diritti, non ultimo quello al risarcimento di tutti i danni patiti e patiendi, nel caso in cui la scuola pretenda di condizionare alla firma del modello l’ammissione dell’alunno alla frequenza, in spregio alle garanzie costituzionali.
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