I datori di lavoro che si trovano a dover gestire i rischi posti dal coronavirus Sars-CoV-2, dovrebbero come prima cosa affrontare il rischio “alla fonte” e il funzionamento degli impianti di ventilazione “è uno degli elementi” che andrebbero tenuti in considerazione in via prioritaria, trattandosi di un virus respiratorio. Lo dice la portavoce della Commissione europea per l’economia, Marta Wieczorek, commentando, durante il briefing on line con la stampa a Bruxelles, il caso del focolaio di positivi al Sars-CoV-2 rilevato nello stabilimento di lavorazione della carne Aia di Vazzola, nel Trevigiano. Lo riporta l’agenzia AdnKronos
I casi in Europa – – Aia fa parte del gruppo Veronesi, un colosso da 3 miliardi di ricavi e 8mila dipendenti. Con oltre venti stabilimenti produttivi, scrive sempre l’AdnKronos, il gruppo è uno dei principali player nel settore alimentare in Italia. I macelli, e gli stabilimenti in cui si lavorano le carni in generale, sono da qualche tempo sotto la lente delle istituzioni europee, dato che, a causa delle particolari condizioni in cui si svolge il lavoro (un lavoro duro, anche fisicamente, ancora di più con i dispositivi di protezione come le mascherine), sono particolarmente esposti al rischio di diventare dei focolai epidemici.
Il responsabile per la Salute del gruppo del Ppe al Parlamento Europeo, l’eurodeputato della Cdu Peter Liese, ha detto che l’Europa ha “un problema sistemico” di salute nei mattatoi: il caso più clamoroso si è verificato in Germania, nello stabilimento di macellazione delle carni Toennies di Guetersloh, nel Nordreno-Vestfalia, probabilmente il macello più grande d’Europa, dove sono stati rilevati oltre 1.500 contagi. Altri casi, più limitati, si sono verificati tra l’altro in Olanda, in Irlanda e anche in Italia, nel Mantovano.
Il problema dei filtri – Uno dei problemi, oltre alle condizioni spesso precarie in cui alloggiano i lavoratori, spesso stranieri (alla Toennies molti sono Gastarbeiter dell’Est europeo, con un turnover altissimo), è quello degli impianti di ventilazione che, ha spiegato ripetutamente Liese, non hanno filtri potenti come quelli che sono montati sugli aerei (sui velivoli più recenti, l’intera aria della cabina viene cambiata in media ogni tre minuti, cosa che abbassa molto il rischio di contagio, se si tengono le mascherine). In pratica, a quanto ha spiegato Liese, l’impianto tipico del macello si limita a rimettere in circolo sempre la stessa aria, a bassa temperatura (per rallentare la decomposizione), fornendo quindi l’habitat ideale per il coronavirus Sars-CoV-2. Sicché, se c’è un lavoratore positivo al Sars-CoV-2, il rischio che il contagio si diffonda è elevato, e le mascherine non bastano ad annullarlo.
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Non è detto che questo sia successo a Vazzola. Anzi, fonti vicine al gruppo Veronesi tengono a precisare che in tutti gli stabilimenti del gruppo “sono installati impianti di ventilazione di ultima generazione, in gergo Uta (Unità di Trattamento Aria), che sono diversi da quelli tradizionali, utilizzati generalmente in altri Paesi europei, come la Germania”. La situazione nello stabilimento veneto, quindi, sarebbe diversa da quella che si è determinata nel macello Toennies di Guetersloh, nel Nordreno-Vestfalia, dove nel giugno scorso è emerso un focolaio con oltre 1.500 positivi: alla Toennies, dove si macellano animali di grossa taglia come i bovini, usano impianti di ventilazione tradizionali, a ricircolo dell’aria interna. Questo tipo di impianto, in pratica, rimette in circolazione l’aria già presente nello stabilimento, filtrandola, fornendo quindi l’habitat perfetto per il virus, aiutato anche dalle basse temperature. Gli impianti di ventilazione Uta invece, secondo le fonti, immettono aria nello stabilimento dall’esterno, raffreddandola e filtrandola, assicurando un certo ricambio, cosa che riduce il rischio rispetto agli impianti tradizionali.
Le linee guida Ue – “Nell’ambito della risposta alla pandemia di Covid-19 – continua Marta Wieczorek – l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, in stretto coordinamento con la Commissione, ha emesso linee guida per i datori di lavoro per gestire i rischi connessi alla Covid-19 nei luoghi di lavoro”. “Queste linee guida – prosegue – fanno esplicito riferimento all’importanza di una buona ventilazione, per esempio, nei luoghi di lavoro per minimizzare l’esposizione al Sars-CoV-2 al lavoro. La Commissione e l’Agenzia hanno anche lavorato a stretto contatto insieme per preparare linee guida per i datori di lavoro sul ritorno al lavoro dopo i lockdown dovuti alla pandemia”.
“Queste linee guida – continua – sono state pubblicate in aprile e vengono aggiornate per adattarsi all’evoluzione della situazione. Quando si gestisce il rischio, la priorità dovrebbe essere data a combattere il rischio alla fonte e la ventilazione dovrebbe essere uno degli elementi da tenere in considerazione, insieme ad altri aspetti”.
“La Commissione – prosegue Marta Wieczorek – ha anche emesso linee guida destinate ai lavoratori stagionali nel contesto dell’epidemia di Covid-19, dato che sappiamo che molte persone impiegate nei mattatoi sono lavoratori stagionali”. Secondo quanto ha detto l’eurodeputato della Cdu tedesca Dennis Radtke, nell’industria della lavorazione delle carni in Europa le condizioni di lavoro sono “cattive”, non solo in Germania, ma anche in altri Paesi europei come l’Olanda.
La situazione in Italia – E in Italia la situazione generale, non necessariamente nel caso specifico, potrebbe non essere molto migliore: secondo un rapporto pubblicato dalla Effat (European Federation of Food Agriculture and Tourism Trade Unions), la lavorazione della carne, anche nel nostro Paese, “si basa largamente su pratiche abusive di subappalto”. Il modello di business “dominante” si basa sul ricorso “a piccole cooperative di lavoratori”, alle quali viene affidato in outsourcing l’intero processo produttivo (macellazione, disossamento, taglio, lavorazione e impacchettamento), fatta eccezione per il management e l’amministrazione.
Questo sistema, osserva la Federazione dei sindacati europei, consente ai principali committenti di realizzare risparmi “considerevoli”. Mentre i lavoratori impiegati direttamente dall’azienda continuano a beneficiare del contratto collettivo dell’alimentare, i collaboratori in subappalto applicano gli accordi collettivi per la logistica e i servizi (Multiservizi), che prevede “paghe più basse e standard di lavoro peggiori”. Ciò determina “una situazione di contrattazione collettiva e di concorrenza al ribasso sui salari, nonché un aumento della flessibilità dell’orario di lavoro”. Lo status giuridico delle cooperative, sottolinea la Effat, consente loro di imporre “tagli salariali” e di effettuare “licenziamenti facili”.
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Come in Spagna, poi, anche in Italia ci sono cooperative “fittizie”, i cui lavoratori non sono messi al corrente delle assemblee, né delle decisioni che vengono prese alle loro spalle. Sono “molto diffuse”, aggiunge la Federazione, pratiche “illegali” per quanto riguarda “l’orario di lavoro, la salute e la sicurezza, le tasse, i contributi”. La catena dei subappalti impiega “quasi esclusivamente” lavoratori migranti extra Ue”, provenienti da Paesi come Albania, Ghana, Costa d’Avorio e Cina, in “condizioni precarie”, conclude la Effat.