Vittorio Feltri – Letto il libro di Massimiliano Lenzi sul Covid e su come sia diventato un’arma per combattere la libertà infinocchiando il popolo, l’ho appoggiato sul comodino e ci ho dormito su. Mi pareva esagerato. Il Corona è anzitutto un assassino, su questo non si discute, ed è ovvio che induca le autorità all’adozione di limitazioni e costrizioni antipatiche per gli umani volte a rendere più difficile il compito al killer cinese. Stavo cominciando a picchiare le dita sui tasti dell’iPad per esprimere il citato concetto, insieme a parecchi elogi, tutti meritati, per audacia della tesi e limpidezza di scrittura, quando sul mucchio di quotidiani sulla scrivania (sono uno che li predilige ancora di carta) mi sono imbattuto in questo titolo di prima pagina di Repubblica. È il ministro della Salute Roberto Speranza a parlare. Dice: “Non potevamo impedire l’estate”. Aggiungendo, bontà sua: “E non chiuderemo le Regioni”.
Ho raddrizzato la mira su Lenzi: ha ragione al cento per cento. Il virus che certo è, ma soprattutto è stato, una brutta bestia, si è trasformato per manipolazione dell’informazione in una pompa madornale di paura popolare e individuale, grazie a cui questo governo si è attribuito e continua a detenere poteri esagerati e irragionevoli. Un giovane ma vecchissimo comunista come Speranza ha la classica baldanza da Politburo e, sicuro di ricevere complimenti per l’ironia, ricava dall’aumento dei casi di positività riferiti al Covid-19 non l’evidenza della loro venialità (sempre meno morti e sempre meno terapie intensive e crescita di asintomatici) e del fatto che in pratica si stia ampliando il numero dei futuri immuni, bensì il dolore per non essere stato in condizione di vietare all’estate di insediarsi tra noi. Un po’ come il generale Inverno bloccò prima Napoleone e poi Hitler in Russia, così il generale Estate, anche se ciò appare disdicevole a Conte e soci, ha reso inadeguati i Decreti del presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm). Essi infatti non sono ancora abbastanza potenti da ordinare con successo:
“Fermati, o Sole; fermati, Estate”. Cosa che invece riuscì a Giosuè nella Bibbia. Questa spiritosaggine di Speranza vuole essere sì una battuta, ma rivela moltissimo del sentimento con cui l’esecutivo ha governato l’emergenza. L’ha intesa come occasione per gettare sopra gli italiani la coperta della catalessi. Una sorta di incantesimo dell’immobilità. Non il lavoro e la libera espressione della creatività, dentro ovvie regole di sicurezza, rappresentano la chiave per uscire dall’inferno, piuttosto il lasciar scivolare il tempo, consegnando le redini della vita ai potenti.
A questo è necessario ribellarsi. Non certo con manifestazioni di negazionismo idiota verso la natura maligna del Covid, se non altro per rispetto di chi è morto e di chi ha sofferto, ma facendo valere i diritti essenziali di libertà e di democrazia, anzitutto non consegnando la nostra sia pur trascurabile testa alla raccolta indifferenziata degli imbecilli. E sono al libro di Massimiliano Lenzi, “Shining Italia. La libertà contro la paura”, in edicola con Il Tempo a 5,80 più il prezzo del quotidiano, pagine 96. Il riferimento del titolo, lo rammento agli smemorati come me, è al celebre film di Stanley Kubrikc con Jack Nicholson. In un hotel di montagna una famiglia è costretta in isolamento, il resto è orrore e terrore.
Lenzi racconta come sin dalle primissime settimane, e qui ce lo ricordiamo tutti per forza, il diavolo si nascondeva nelle voci contraddittorie di virologi e nelle decisioni schizofreniche del governo. Prima lassismo e baci ai cinesi con concorso di folla agli aperitivi, poi dietrofront. Buona fede? Un corno. L’incompetenza coincide con la disonestà, come sostenne Niccolò Machiavelli e dopo di lui Benedetto Croce. Non è stata frutto di ingenuità la decisione del governo che ha sottoposto 60 milioni di italiani al cosiddetto lockdown, termine eufemistico corrispondente ad arresti domiciliari, sospensione sine die dei diritti di movimento, divieto di frequentazioni personali, di lavoro e di culto. Una iniezione di paura esercitata con prepotenza cui la folla reagì con cori infantili e felici dai balconi diretti da telegiornali compiacenti, presto teleguidati a trasformarsi in urla e delazioni contro chi passeggiava con il cane o osava – specie se dotato di capelli bianchi – uscire per fare la spesa corricchiando, e dunque veniva colto in flagranza di reato (splendida l’intervista di Lenzi alla conduttrice televisiva toscana Federica Torti, multata perché stava recandosi al supermercato, però con la tuta e a passo troppo svelto, perciò criminale). Lungi da me contestare l’opportunità di provvedimenti.
Nella mia Bergamo e in generale in Lombardia abbiamo seppellito, senza funerali, troppa gente per giudicare esagerate le precauzioni. Lenzi però documenta, attraverso interviste e interventi meticolosi, come la realtà di una forza maligna sia stata assoldata da dilettanti il cui intento predominante era legare questo destriero demoniaco al loro carro per sottometterci tutti con l’uso “pandemico dell’informazione”. Massimiliano lo scrisse sin dai primi di aprile che qualcosa nel modo di governare puzzava di desiderio totalitario. Una ideologia molto semplice e che abbiamo visto ancora oggi emergere in certi discorsi del pur simpatico (una volta) Vincenzo De Luca, governatore della Campania. Lo traduco così, al seguito di Lenzi: finché dura il Corona, si deve rinunciare a vivere per non morire. Né campare né lavorare. Andrà tutto bene – come sosteneva lo slogan governativo – ma quando tutto sarà finito. Intanto è indispensabile mettersi nella mani dispotiche di chi manipola la Costituzione come la plastilina a suo uso e consumo, e guai a chi dissente, sia sottoposto alla purificazione del lanciafiamme. Viene da questo “credo” nel diritto di comandare da parte degli illuminati giallo-rossi la citata pratica dei Dpcm, contestata da Lenzi insieme ai più accreditati costituzionalisti (vedi Sabino Cassese). Questi decreti presidenziali mutano uno strumento amministrativo in un illegittimo verbo assoluto che penetra nella essenza della vita personale e comunitaria conculcando diritti di cui lo Stato non può essere padrone.
Da questo dispotismo è derivata la chiusura, senza sostegno di un calcolo elementare di costi-benefici, delle scuole. La serrata dei pubblici uffici tramutata in occasione di ferie stipendiate per l’amministrazione pubblica a questo punto pronta a bagnare con lacrime di gratitudine i piedi profumati di Conte. È stata questa la linea in generale della sinistra (anche se con l’eccezione segnalata di Massimo Cacciari e Giorgio Agamben): fermare tutto, congelare la vita, inventando nel frattempo contributi a pioggia che non arrivano perché non ci sono risorse; bloccando elezioni, parlamento, manifestazioni tranne quelle del 25 aprile; vietando messe, matrimoni e funerali. Il buonsenso suggerisce ben altro. E questo vale specie da quando il virus ha mostrato di aver perduto vigore, e che la sua formidabile dentatura ormai soffre di piorrea. Si tratta cioè di non aspettare il futuro per proclamare “andrà tutto bene” perché saremo nel frattempo, con la scusa di voler sopravvivere (e rubo la frase a Giuliano Cazzola, qui intervistato), tutti trapassati. Si tratta di vivere e produrre nelle condizioni date. Estate e autunno, e pure inverno e primavera. Mascherine? Se necessario e dove necessario. Tuttavia evitando di rendere i numeri dei contagi (ora veniali) armi terroristiche, adoperandoli quali forme di negazionismo della realtà. Ben venga allora questo libro. Conte e Speranza non sono riusciti a bloccare l’estate, non riusciranno – si spera – a frenare il contagio del buonsenso e della voglia di lavorare di cui il volumetto di Lenzi è generoso seminatore.