Pillola abortiva, Cei: “Linee guida violano la Costituzione”

“Consultori e donne, la legge parla chiaro” è il titolo di un’analisi con cui l’Avvenire, il quotidiano dei vescovi, afferma come “continua a suscitare perplessità la decisione ministeriale di coinvolgere i consultori familiari nella pratica abortiva”. La questione nasce dalle nuove linee guida pubblicate dal ministero della Salute sull’aborto farmacologico, che introducono due importanti novità: cancellano l’obbligo di ricovero per l’utilizzo della pillola abortiva Ru486 e ne consentono l’uso fino alla 9 settimana. “Alterare questa disciplina con una semplice circolare – come fanno le nuove linee guida del Ministero della Salute che disciplinano il ricorso alla pillola abortiva –, e non attraverso una modifica parlamentare della legge vigente, darebbe vita a una violazione della Costituzione”, spiega l’analisi.

“La rete consultoriale – ribadisce l’analisi – nasce con la finalità esattamente opposta: fornire un’alternativa alle donne che pensano di trovarsi costrette dalle circostanze più varie a spegnere in grembo la vita del proprio bimbo. È quanto emerge dalla legge 405 del 1975, che ha istituito i consultori. La sua prospettiva – spiega il giornale – risulta ben chiara fin dall’articolo 1, che tra gli scopi di queste strutture indica ‘la tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento'”.

E aggiunge: “Attenzione: in tutti gli 8 articoli di cui si compone il testo l’interruzione di gravidanza non è mai prevista: si parla solo di contraccezione. È vero: la prima legge che ha consentito, in un numero di casi (almeno formalmente) ristretto, l’interruzione volontaria della gravidanza è la 194 del 1978, varata dunque 3 anni dopo quella che ha istituito i consultori. Ma è altrettanto innegabile come anche questa seconda norma non abbia inteso chiedere la collaborazione di queste strutture per la soppressione del bimbo nel ventre della gestante”.

“Anzi, spiega il giornale della Cei – ‘I consultori familiari – si legge all’articolo 2 – assistono la donna in stato di gravidanza […] contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza‘. Proprio per raggiungere questo fine la norma dispone che le stesse strutture ‘possono avvalersi […] della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita’”.

“L’obiettivo pratico sembra ben chiaro: dal momento che le risorse economiche, anche allora, non bastavano a rimuovere i problemi in cui versavano e versano le gestanti, si dava e si dà la possibilità che i consultori si avvalgano della grande rete del volontariato, come quello grande e generoso che anima i Centri di aiuto alla vita. A fugare ogni dubbio – prosegue l’analisi – circa le finalità di queste strutture, l’articolo 5 della stessa legge 194/78 dispone che esse, quando si trovano innanzi una donna che chiede l’interruzione volontaria della gravidanza, «hanno il compito in ogni caso […] di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta […] di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione di gravidanza”.

“Allo stesso modo, qualora la donna si rivolgesse al proprio medico, questo dovrebbe informarla ‘sui diritti a lei spettanti e sugli interventi di carattere sociale cui può fare ricorso, nonché sui consultori e le strutture socio-sanitarie’. E quand’anche tutto ciò fallisse – conclude l’analisi riportata oggi sull’Avvenire – , non restando altro se non la soppressione del feto, la legge vietava e vieta al consultorio di fare da sé: l’aborto, infatti, può essere effettuato solo da una (diversa) struttura autorizzata”.  ADNKRONOS