Libia, schiaffo di Erdogan all’Italia: Misurata diventa base turca

Gian Micalessin – In Libia, una volta, eravamo la potenza di riferimento. Oggi siamo un sacco da boxe su cui Recep Tayyp Erdogan e la sua Turchia si divertono a scaricare, di tanto in tanto, un paio di destri. Con l’ultimo hanno messo a terra un’Italia che da quattro anni garantiva la presenza di un ospedale militare, protetto da 300 militari, in quel di Misurata. Un dispiegamento costoso per i contribuenti, pericoloso per i militari e prezioso per la Libia, ma su cui il governo Conte 2 non ha saputo a costruire uno straccio di azione politica, militare e diplomatica. Il risultato si vede.

Lunedì a Tripoli, nel silenzio del nostro ministro degli Esteri Luigi Di Maio, i responsabili della difesa turco Halusi Akar e e quello del Qatar Khalid al Attyha si son fatti firmare dal premier di Tripoli Fayez Al Serraj un accordo grazie al quale parte del porto di Misurata si trasforma in una base navale turca garantita da una concessione di 99 anni. In base allo stesso accordo l’aviazione militare turca potrà utilizzare la base aerea di al-Watya nella Tripolitania Occidentale. Il Qatar finanzierà, invece, la ricostruzione e gestirà, assieme ad Ankara, la riorganizzazione dell’esercito. Con la firma di quegli accordi Qatar e Turchia mettono a segno l’obbiettivo perseguito fin dal 2011, quando – con l’appoggio di Francia e Nato – organizzarono e guidarono una «rivoluzione» che puntava non solo all’abbattimento del Colonnello, ma anche all’estromissione dell’Italia.

A nove anni di distanza, complice l’insipienza del governo giallo-rosso, quell’obiettivo si va concretizzando. E a garantirlo contribuisce, ulteriore umiliazione, quella Germania a cui – dalla Conferenza di Berlino di gennaio in poi – abbiamo delegato la guida dell’azione diplomatica in Libia. L’accordo per la definitiva trasformazione della Tripolitania in un protettorato di Turchia, Qatar e Fratellanza Musulmana è stato firmato mentre a Tripoli era in corso una missione del ministro degli esteri tedesco Heiko Maas. Ufficialmente il ministro tedesco puntava a un’intesa per la trasformazione in zone neutrali di Sirte e dell’aeroporto di Jufra occupati dalle forze del generale Khalifa Haftar e dai suoi alleati. Difficile però credere che Maas ignorasse l’intesa con Turchia e Qatar. Un’intesa che, oltre a estromettere l’Italia, vanifica le sanzioni promesse dalla Ue per bloccare l’espansionismo di Ankara nel Mediterraneo.

L’acquiescenza tedesca non è certo una novità. Soggetta alle minacce esercitate da Ankara grazie all’arma migratoria e alle pressioni di una comunità turca forte di almeno tre milioni di individui (curdi esclusi), Berlino si è spesso piegata ai ricatti di Erdogan.

A questo punto il governo dovrebbe chiedersi come ribaltare la situazione di una Tripolitania in cui, prigionieri dell’egemonia turca, rischiamo non solo di perdere il controllo di petrolio e gas, ma anche di venir ricattati con l’arma migratoria, visto che gran parte della costa è nelle mani di milizie fedeli ad Ankara. Il nostro grande handicap è la recalcitranza di un’America restia a mettere con le spalle al muro la Turchia per non facilitare i giochi di una Russia schierata in Cirenaica con Egitto, Arabia Saudita, Emirati e Francia. In altri momenti avremmo potuto proporci come alleati capaci di prendere il posto della Turchia e re-insediare a Tripoli un autentico governo di unità nazionale. Ma prima dovremmo insediare un esecutivo degno di quel nome nella nostra Roma.

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