Giovanni Giacalone – – Un migliaio di mercenari e tagliagole del jihad trasferiti dai turchi in Libia per sostenere le milizie di Fayez al-Serraj si sarebbero infiltrati in Europa e in particolar modo in Italia, salpando dai porti di Tripoli, Sabratha e Zuwara, tutte zone controllate dal Gna. È quanto reso noto dal maggiore-generale Ahmed al-Mismari, portavoce del Libyan National Army del generale Khalifa Haftar.
Secondo quanto dichiarato da al-Mismari, soltanto nella giornata di martedì sarebbero 483 i “siriani” fuggiti verso le coste italiane, aggiungendo che i clandestini avrebbero addirittura utilizzato le imbarcazioni fornite al Gna per controllare le coste. L’Europa rischia così di trovarsi centinaia di tagliagole con esperienza sul campo di battaglia a piede libero sul proprio territorio, traghettati con quelle stesse barche fornite da Bruxelles all’esecutivo di al-Serraj.
Infine, il portavoce dell’Lna ha puntato il dito contro la Turchia, accusandola di avere tutto l’interesse a portare avanti e diffondere la crisi nell’area.
I rischi reali – – Difficile dire cosa ci sia di vero nelle dichiarazioni di al-Mismari e cosa invece sia frutto della potenziale propaganda dell’Lna in chiave anti-Gna e anti turca. La presenza di mercenari e jihadisti trasferiti dai servizi segreti turchi dalla Siria alla Libia occidentale per utilizzarli contro l’Lna è un dato di fatto, così come lo sono le continue partenze dalle coste libiche verso quelle italiane. Inoltre, due mesi fa erano già giunte testimonianze di mercenari siriani che avevano mollato le armi ed erano fuggiti in Italia, come il caso del 25enne Ali che aveva dichiarato a Speciale Libia: “Alcuni di noi hanno smesso di combattere. Siamo diventati più un peso morto che un aiuto per Serraj e per la Turchia. Alcuni dei miei compagni che sono arrivati in Libia con me tre mesi fa, se ne sono andati. Hanno detto di provare ad andare in Europa via mare. Ai turchi non interessa, a loro non interessa un bel niente di ciò che facciamo. Se ci siamo o se ce ne andiamo in Italia è lo stesso“.
Se la verità si trova spesso nel mezzo, non si può dunque escludere che un numero indefinito di mercenari, magari non un migliaio ma qualcosa in meno, abbia deciso di abbandonare il campo di battaglia per raggiungere l’Italia e l’Europa in generale. I motivi possono essere i più svariati: la fuga da una guerra che non è la loro, la ricerca di opportunità in quell’utopico “El Dorado” europeo che di “dorato” ha oramai ben poco, ma anche la volontà di compiere attentati nel Vecchio Continente.
Il professor Marco Lombardi, esperto in sicurezza e a capo dell’Italian Team for Security, Terroristic Issues and Managing Emergencies/Università Cattolica di Milano non sottovaluta l’allerta ma la pesa attentamente: “Si tratta di informazioni difficili da valutare nella loro specificità soprattutto nel contesto libico a elevatissima incertezza, in cui ogni contendente manipola informazioni e situazioni a proprio vantaggio. Ancor più che in ogni altra guerra qui la realtà narrata non ha a che fare con la realtà sul campo. Dato per scontato questo, occupiamoci allora della verosimiglianza: se infatti forse parlare di migliaia” è troppo, e certo non confermabile, preoccuparsi di un flusso di mercenari che passino dal Nord Africa all’Europa via Italia è legittimo e opportuno. Infatti, non si tratta di una novità: il mare unisce, perché è una via facile e dunque non si può rifiutare, se non su una base astratta, che insieme a armi, denari, droga, medicinali, essere umani, e via discorrendo, non passino terroristi e mercenari. L’attenzione ai teatri in cui il terrorismo jhadista, sempre più confuso con interessi statuali difficilmente distinguibili, deve restare alta e non manifestarsi come solo reazione agli eventi: le minacce sono segni deboli da intercettare per prevenire”.
Jihadisti e mercenari in trasferta
La presenza di mercenari e jihadisti trasferiti per via aerea dal Mit turco nella zona di Tripoli e Misurata è già stata ampiamente documentata e non deve stupire. Erdogan ha infatti tutto l’interesse a destabilizzare la Libia per mettere le mani sull’industria energetica del Paese, come sta del resto già facendo. Non a caso il Gna è oramai passato da esecutivo sostenuto dall’Onu a regime-fantoccio di Ankara e in mano a milizie di islamisti e trafficanti.
In relazione a ciò, la recentissima visita del ministro degli Interni, Luciana Lamorgese, a Tripoli per incontrare al-Serraj non può non far discutere, soprattutto in seguito al comunicato diffuso dal Gna dopo l’incontro, nel quale si afferma che “si è discusso degli ultimi sviluppi in Libia e di una serie di questioni comuni, la più importante delle quali è il dossier della cooperazione in materia di sicurezza, che comprende a sua volta lo sviluppo di capacità, la lotta alle migrazioni illegali, alla tratta di esseri umani e al contrabbando”.
È possibile discutere di sicurezza con chi apre le porte del proprio Paese a tagliagole del jihad da affiancare a milizie armate di islamisti, signori della guerra e trafficanti che controllano il Gna? Difficile crederlo.
Per quanto riguarda la lotta all’immigrazione clandestina proveniente dalla rotta meridionale, sono i fatti a parlare e a Lampedusa in sole 48 ore sono arrivati circa 800 irregolari. C’è poi il problema dei cosiddetti “mini-sbarchi“, anche una quindicina al giorno e con a bordo un cospicuo numero di tunisini. Parecchie di queste imbarcazioni sarebbero salpate non soltanto dalle coste libiche, ma anche da quelle tunisine.
Ora, considerato che dalla Tunisia sono partiti più di 6mila volontari per il jihad in Siria e che il governo di Tunisi ha tutto l’interesse a spingere i “soggetti problematici” al di fuori dei propri confini, c’è poco da stare tranquilli. Se a ciò si aggiunge l’interesse che può nutrire Ankara non solo nell’infiltrare potenziali jihadisti in Europa per destabilizzarla dall’interno, ma anche nell’utilizzare i rubinetti migratori da sud e da est per ricattarla e chiedere fondi, il panorama è estremamente cupo.
Attenzione poi, perché con “mercenari siriani” non si intende soltanto i cittadini siriani che avevano imbracciato le armi contro Bashar al Assad, ma anche tutti quei volontari di vari Paesi islamici arruolatisi nelle file jihadiste, ora riutilizzati da Ankara in chiave anti-Haftar e che rischiano di essere usati anche contro l’Europa.