Sudan, primavera dei diritti umani contro il fondamentalismo

di Souad Sbai – – In Sudan è finalmente sbocciata la Primavera dei diritti umani. Il lungo inverno islamista che aveva caratterizzato l’era del generale Omar Al Bashir sta infatti lasciando il posto a una nuova stagione, inaugurata dall’introduzione da parte dell’attuale governo di transizione di una serie di riforme che possono essere considerate davvero “rivoluzionarie” e di “civiltà”.

Per più di trent’anni, già prima del golpe con cui Al Bashir prese il potere nel 1989, il Sudan è rimasto stretto nella morsa del fondamentalismo dei Fratelli Musulmani, rappresentati dalla nota figura di Hassan Al Thurabi, l’ideologo e uomo politico che all’inizio degli anni ‘90 invitò Bin Laden in territorio sudanese dopo la sua dipartita dall’Arabia Saudita, offrendogli protezione e un luogo sicuro dove proseguire nell’organizzazione del jihad di Al Qaeda.

Insieme a Bin Laden, Al Thurabi intendeva forgiare un’alleanza panislamista antioccidentale che doveva avere come capisaldi Al Qaeda, sul versante sunnita, e il regime khomeinista iraniano, la versione sciita della fedele applicazione della dottrina e della prassi politico-religiosa dei Fratelli Musulmani (non è certo un caso che non si sono mai registrati attacchi terroristici qaedisti in Iran, mentre diversi esponenti dell’organizzazione che fu di Bin Laden trovarono rifugio presso i mullah e i pasdaran di Teheran in seguito all’intervento statunitense e internazionale in Afghanistan).

È solo una certa sinistra occidentale ad ostinarsi a credere che i Fratelli Musulmani siano “buoni”, moderati e che abbiano accettato “lo stato civile e democratico”, come suona e risuona la propaganda “progressista”. Ma i sudanesi sanno bene che così non è e per liberare il proprio paese da Al Bashir e dai Fratelli Musulmani, sono stati in molti, in giovane età soprattutto, a morire o a restare feriti durante le sanguinose proteste sfociate nella caduta della dittatura militare-islamista.

Con la riforma del sistema legislativo e giudiziario entrata in vigore lo scorso 11 luglio, il Sudan ha mosso dunque passi in avanti decisi e concreti verso la costruzione di uno stato democratico e moderno, di cui a beneficiare saranno in primo luogo le donne, il bersaglio preferito del fondamentalismo. Oltre ad aver gettato nella pattumiera della storia le mutilazioni genitali femminili, il governo ha abolito l’obbligo del velo, la fustigazione pubblica per chi non lo indossa e la pratica delle spose bambine (capito Silvia Romano?).

Oggetto di smantellamento è anche il sistema patriarcale che vuole le donne subordinate per legge all’autorità del “maschio” (padre, fratello, marito o altro parente che sia), mentre s’inserisce nell’avanzamento complessivo dei diritti civili anche l’abolizione della pena di morte per l’omosessualità.
A respirare una boccata d’aria nuova e pulita è inoltre la libertà religiosa. D’ora in poi, convertirsi a un’altra religione sarà possibile senza più incorrere nel reato di apostasia e nella pena di morte. I non musulmani potranno quindi festeggiare, essendo stato rimosso per loro il divieto di consumare alcolici.
L’architetto delle riforme è il ministro della giustizia, Nasreddin Abdelbar, 41enne e tra i principali leader del movimento di protesta anti-Al Bashir e anti-Fratelli Musulmani. In un intervento televisivo, Abdelbar ha dichiarato che l’obiettivo è quello di “garantire l’uguaglianza nella cittadinanza e nello stato di diritto”.

“Questi cambiamenti ‒ ha ribadito ‒ puntano a conseguire l’uguaglianza di fronte alla legge. Abbiamo cancellato gli articoli che erano stati causa di discriminazioni”. E non è finita qui, perché Abdelbar ha assicurato “al nostro popolo che le riforme andranno avanti finché non sarà abolita ogni legge che viola i diritti umani”.
Il nuovo corso intrapreso dal Sudan, tuttavia, non sarà privo di ostacoli. I provvedimenti voluti da Abdelbar hanno infatti scatenato la protesta di gruppi fondamentalisti, che sono così scesi in strada, scagliandosi con veemenza contro la “corsa al secolarismo” e inneggiando persino alla “guerra santa”. Quale “mano” li sospinge?

L’uscita di scena di Al Bashir non è piaciuta al Qatar e alla Turchia di Erdogan, che continuano instancabilmente a supportare i Fratelli Musulmani, e neppure al regime khomeinista iraniano, che rivede se stesso nelle sorti a cui è andata incontro la dittatura del generale. I grandi sponsor dell’islamismo sfrutteranno pertanto ogni occasione per boicottare il programma di riforme e riportare indietro il Sudan ai tempi in cui operava come avamposto del fondamentalismo.
La comunità internazionale saprà opporsi alle loro ingerenze, proteggendo la Primavera sudanese affinché diritti umani, democrazia e libertà fioriscano definitivamente?

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