Pregano per la famiglia, vescovo attacca parroco e fedeli “non si brandisce la fede”

di Riccardo Cascioli www.lanuovabq.it  – Anzitutto ricapitolimo i fatti. Un gruppetto di fedeli della parrocchia di Lizzano (provincia e diocesi di Taranto), preoccupato per la probabile approvazione in Parlamento di una legge che: introdurrà il reato di opinione, negherà la libertà di vivere e affermare la famiglia naturale, introdurrà nella società dei princìpi che rovesciano il progetto Creatore di Dio, decide di indire una veglia di preghiera per chiedere al Signore di difendere la famiglia naturale e di allontanare da noi questa minaccia. Il parroco è d’accordo e partecipa alla stesura del volantino per invitare i parrocchiani. Tutto molto cattolico, si potrebbe dire: quante volte nelle Scritture troviamo episodi di preghiere di comunità e città perché il Signore allontani delle sciagure? E quante testimonianze, in santuari e devozioni, ci sono in Italia e nel mondo di preghiere del genere a cui Dio ha dato ascolto?

Al massimo si potrebbe rimproverare ai simpatici parrocchiani di Lizzano di farla un po’ troppo semplice. Sempre guardando agli esempi della Tradizione, di fronte a una minaccia così grave come quella attuale, pensare di cavarsela con una semplice veglia di preghiera è un po’ ingenuo: ci vogliono digiuni e penitenze oltre a una preghiera incessante. Ma tant’è, di questi tempi già è molto proporre una intenzione di preghiera.

Torniamo alla cronaca. La veglia di preghiera si svolge in chiesa, ma la notizia ovviamente circola. E già prima del momento fatidico, sui social si moltiplicano insulti e minacce. Ed ecco che all’ora della veglia fuori della chiesa arriva qualche decina di attivisti Lgbt che attaccano manifesti sui muri della chiesa e inveiscono e minacciano quanti si stanno recando in chiesa. Il parroco, don Giuseppe Zito, preoccupato per la situazione chiama giustamente i carabinieri. Al contempo gli Lgbt coinvolgono il sindaco, Antonietta D’Oria, che inveisce contro i carabinieri che vogliono identificare le persone che non hanno alcuna autorizzazione per manifestare, e li invita a identificare invece quanti sono in chiesa, perché quella preghiera «è una vergogna» (e ha anche suggerito per cosa i cattolici dovrebbero pregare).

Questi fatti sono noti, hanno occupato le cronache di tutti i giornali nei giorni scorsi, ma è opportuno richiamarli. Perché dopo ben tre giorni arriva il comunicato ufficiale dell’arcivescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro,

Così scopriamo che il problema sta anzitutto nella veglia di preghiera. Infatti, ci spiega Santoro, la preghiera «per natura è, o dovrebbe essere, un momento aggregativo che riunisce la Comunità Cristiana» e invece «è diventato un motivo di divisione e di contrapposizione». Ma davvero? Fosse proprio così, Gesù non sarebbe mai stato crocifisso né fine analoga avrebbero fatto gli apostoli e tutti i martiri che sono seguiti. Anzi, sarebbero stati portati in trionfo. Avranno sbagliato qualcosa.

Poi il comunicato continua con un insieme di frasi fatte sulla Chiesa che è madre di tutti, la bellezza della diversità, i ponti da costruire e i muri da abbattere, per poi arrivare a dire che «non si brandisce l’arma della fede». Certo, non vanno bene neanche le reazioni violente, che diamine. Anche nel calcio viene punito il fallo di reazione, ci abbiamo vinto anche un mondiale contro la Francia. E allora ecco la conclusione del vescovo «pacificatore»: parliamone insieme, dialoghiamo, anzi «mi faccio io stesso promotore di un incontro fra il parroco e il sindaco perché Piazza e Chiesa a Lizzano continuino ad essere faro di accoglienza, di incontro e di crescita civile». Che bello.

Ora rileggere per favore la cronaca dei fatti e poi rileggere il comunicato del vescovo. Dei cattolici che pregano in chiesa vengono aggrediti e minacciati, e il loro vescovo li bacchetta, dopo aver certamente strigliato in privato il parroco che, infatti, ha cercato successivamente di prendere le distanze dalla veglia di preghiera. E poco importa se il vescovo richiama anche la nota della CEI, contraria a una legge sull’omofobia, sembra un po’ di pararsi su tutti i fronti.
Ci si chiede: come può un vescovo abbandonare così il suo popolo (e il piano di Dio) per autonominarsi giudice di pace? Non ci aspettiamo certo che prenda a male parole sindaco e Lgbt, ma almeno un po’ di dignità e rispetto della realtà dei fatti.

Non che sia una novità purtroppo, abbiamo già visto cosa è accaduto a Cremona e altrove in tempo di messe con popolo proibite. Di fronte alle minacce e alle prevaricazioni contro preti e laici, i vescovi preferiscono prendere le distanze e lisciare il pelo agli aggressori.
Abbiamo già detto che l’episodio di Lizzano è un esempio lampante di cosa succederà con l’approvazione del ddl Zan. Ma dobbiamo aggiungere che – insieme ad altri episodi analoghi – ci dimostra anche come reagiranno i nostri pastori: consegnandoci al boia di turno.

Addolorano queste vigliaccherie e tradimenti dei vescovi. Fa davvero male leggere un comunicato come quello dell’arcivescovo di Taranto. Ma fa doppiamente male ricordando che colui che oggi guida la Chiesa di Taranto, nella seconda metà degli anni ’70 lo abbiamo conosciuto come quel don Pippo Santoro che guidava a Bari gli universitari di Comunione e Liberazione. Che – come tutti i ciellini d’allora – rischiavano l’incolumità personale ogni volta che si trovavano per le lodi mattutine, per i vespri o per la messa, per non parlare di eventuali volantinaggi e incontri pubblici. Allora era lui a spiegare che l’unico ponte possibile era la missione e la conversione, e che  – come ha scritto Roberto Marchesini pochi giorni fa – Cristo non ammette neutralità: o si è con Lui o contro di Lui  Avessero letto allora a don Pippo il comunicato di un vescovo come quello di monsignor Filippo per il caso di Lizzano, altro che la fede avrebbe brandito.

Grande è la responsabilità dei pastori che non si rendono conto che è il mondo che fa la guerra ai cristiani (e a Cristo) e non il contrario. Ma enormemente più grande è la responsabilità di quei pastori che oggi ragionano così pur essendo ben consapevoli della realtà, perché l’hanno sperimentata sulla propria pelle e perché sono stati formati alla scuola di don Luigi Giussani.