10 LUG – La ragazza cristiana rapita, violentata e convertita forzatamente all’islam nell’ottobre del 2019 ha lanciato una richiesta di aiuto ai genitori. E’ un aggiornamento del caso di Huma Younus che, grazie alla sua avvocatessa che si occupa di diritti umani e minoranze in Pakistan, Tabassum Yousaf, ha avuto una risonanza internazionale. “Huma ha chiamato i genitori informandoli che è rimasta incinta a causa della violenza carnale subita. A seguito della richiesta del padre di lasciare l’abitazione del sequestratore per tornare a casa la minorenne ha risposto che non le è permesso di uscire“, ha riferito l’avv. Tabassum Yousaf in un colloquio con la fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, che sta sostenendo le spese legali della famiglia.
Sul piano giudiziario, ha spiegato la legale della famiglia di Huma, il tribunale di primo livello ha chiuso il caso per mancanza di prove. E’ stato presentato ricorso in appello al medesimo giudice al fine di riesaminare le prove documentali, e il magistrato ha interessato la competente autorità pubblica al fine di acquisire il certificato di nascita dell’adolescente (perché il rapitore sostiene che la ragazza, 14enne al momento del rapimento, sia invece maggiorenne).
La Corte Suprema del Pakistan, la stessa che ha assolto Asia Bibi, “teoricamente potrebbe esaminare e giudicare il caso in tempi brevissimi ma la società islamica radicale del Pakistan non permette al sistema giudiziario – sottolinea Aiuto alla Chiesa che Soffre – di essere autonomo. Inoltre quando è in gioco il diritto delle minoranze religiose si tende a dilazionare perché esso non viene considerato né prioritario né urgente.
Il già citato caso Bibi rappresenta da questo punto di vista un precedente eloquente”, considerato che ha atteso dieci anni, trascorsi in carcere con l’accusa di blasfemia, prima di essere assolta e liberata. Secondo l’avvocatessa Tabassum Yousaf si stima che ogni anno vengano rapite 2mila ragazze cristiane per essere convertite all’Islam e date in sposa ai loro stessi rapitori. “Una giustizia in ritardo è una giustizia rifiutata, per cui ogni ritardo nelle decisioni per la difesa dei diritti delle minoranze religiose rappresenta una negazione di tali diritti”, conclude la legale della famiglia di Huma. (ANSA).