di Aldo Grandi
Alcuni anni fa una giornalista molto in voga in quel di Viareggio, dipendente del quotidiano Il Tirreno, presentò un esposto contro di noi all’ordine dei giornalisti per un titolo nel quale avevamo adoperato, a proposito di un arresto, il vocabolo marocchino. Fummo, così, sottoposti a procedimento disciplinare che si concluse, se non erriamo, con l’archiviazione. Alla faccia della collega che non aveva avuto nemmeno il coraggio di avvisarci, ma noi, grazie ai nostri contatti umani, fummo regolarmente avvertiti.
Pensavamo a questo, questa mattina, leggendo la locandina acchiappacitrulli del Tirreno in versione lucchese. Corruzione Indagato un carabiniere recitava il titolo. Ci siamo sentiti morire e abbiamo pensato cosa avremmo detto ed, eventualmente, anche fatto qualora fossimo stati uomini dell’Arma. Sicuramente, se fossimo stati il comandante provinciale o anche regionale o qualcosa del genere, avremmo fatto molta fatica a digerire un rospo del genere.
E pensare che non passa giorno senza che i cronisti del Tirreno, come quelli di tutti gli altri giornali, da sempre, si raccomandino agli ufficiali di Cortile degli Svizzeri o a quelli di Castelnuovo Garfagnana per sapere se ci sono notizie da pubblicare pardon, sparare in prima pagina.
L’operazione a cui fa riferimento il giornale livornese che, a quanto ci risulta , vende meno di 30 mila copie al giorno – quando arrivammo alla Nazione nel lontano 1989 ne vendeva oltre 120 mila – aveva, a quanto pare, altri 26 indagati per reati di varia natura tutti compresi in quello dell’associazione a delinquere, tra politici, amministratori pubblici, parenti, imprenditori. Eppure, guarda caso, il giornale ha ritenuto di mettere in risalto sulla locandina la figura di un carabiniere.
Bene attenti, soltanto indagato e ci pare strano che un quotidiano così garantista e buonista come Il Tirreno, fratello stretto di Repubblica, spari ad alzo zero sulla figura del militare che non è nemmeno, ancora, stato rinviato a giudizio. Misteri della fede, evidentemente. La loro.
I boldriniani e tutta la sinistra sostenitori della grande sostituzione etnica, dell’arrivo indiscriminato di milioni di clandestini dal quarto, quinto, sesto e anche settimo mondo, hanno fatto sì che noi giornalisti non potessimo più usare certi vocaboli perché giudicati, dal Pensiero Unico Dominante e da questa razza di razzisti alla rovescia senza senso né buonsenso, inadatti e decisamente ingiuriosi nei confronti di coloro ai quali erano appioppati fino a qualche tempo fa.
Così, parole come marocchino, zingaro, clandestino sono state vietate con la complicità dei giornalisti leccaculo che non conoscono autonomia dalla politica soprattutto se dipinta di rosso.
I quotidiani, tutti indistintamente e salvo rare eccezioni – come la nostra – hanno smesso di inserire nei titoli e nel testo la provenienza geografica dell’autore del reato poiché il farlo significherebbe, per i soloni della demenza unificata, gettare discredito su tutto un popolo. Non siamo d’accordo, ovviamente, ma sarebbe giusto che la regola valesse erga omnes, ossia nei confronti di tutti e non soltanto degli immigrati. Ad esempio, fare come ha fatto il quotidiano di via S. Croce, ossia sputtanare genericamente un carabiniere, è esattamente come si sputtanasse un immigrato, un marocchino o di altra nazionalità.
Eppure, in questo caso non è stata adottata la stessa metodologia e, anzi, si è pigiato sul fatto che tra 30 indagati c’è anche un carabiniere. E cosa vuol dire? Cosa sottintende questo messaggio? Poteva essere un poliziotto e sarebbe stata la stessa cosa come è già avvenuto. Ma mai abbiamo visto lo stesso metro di giudizio adoperato per le migliaia di spacciatori o criminali extracomunitari che, se fosse per noi, dovrebbero essere presi a calci nel culo, accompagnati sulle spiagge e fatti tornare nei loro paesi a nuoto visto che anche l’esercizio fisico è, sempre e ancora di più dopo due mesi di Covid-19, salutare.
Il nostro vecchio caposervizio, Paolo Magli, che al Tirreno era stato prima di saltare sulla Nazione, ci rimproverava di non leggere mai, la mattina, i giornali cittadini, ma, sinceramente, a noi che aspiravamo a qualcosa di più, ci bastava averlo fatto, la Nazione, mentre il quotidiano rivale non lo degnavamo nemmeno di uno sguardo se non per gli articoli dell’unico giornalista che, ancora oggi, è tra i migliori in circolazione: Luca Tronchetti.
Oggi, a distanza di 30 anni, anche solo sfogliare le pagine del giornale livornese, a noi che a Livorno ci siamo nati e, in parte, cresciuti, ci fa venire l’itterizia e, quindi evitiamo accuratamente. Tuttavia le locandine di fronte alle edicole non possiamo far finta di non vederle e questa volta – e non è la prima – non potevamo restarcene zitti.